Torture a Genova. L’Italia di nuovo condannata
Come nel 2015 e con motivazioni ancora più dettagliate, la Corte europea dei diritti umani torna a condannare l’Italia per la «macelleria messicana», come la definì l’allora vicequestore del primo Reparto mobile di Roma Michelangelo Fournier, compiuta dalle forze dell’ordine durante il G8 di Genova del 2001 all’interno della scuola Diaz e (questa volta anche) della scuola Pascoli, dove era stato allestito il centro stampa e l’ufficio legale.
«Tortura», la definiscono ormai esplicitamente i giudici di Strasburgo che hanno dato ragione a 29 dei 42 ricorrenti (Bartesaghi Gallo e altri) e, per violazione dell’articolo 3 della Convenzione, condannano lo Stato italiano a risarcire le vittime con somme che vanno dai 45 mila ai 55 mila euro ciascuno, per un totale di circa 1,4 milioni di euro.
Un’operazione, l’irruzione nelle due scuole, «pianificata» dalla polizia e nella quale perciò l’«uso di incontrollata violenza» poteva essere evitato, motiva la Cedu, ma così non è stato. Inoltre dalla sentenza Cestaro del 2015 ancora l’Italia presenta «carenze nel sistema giuridico riguardo la punizione della tortura». Motivo per il quale coloro che sono stati ritenuti responsabili di quella folle notte di violenze non sono stati puniti adeguatamente, accusati di reati minori, presto caduti in prescrizione.
Le parole di Strasburgo arrivano in commissione Giustizia della Camera, dove si sta analizzando in quarta lettura il brutto testo di legge che introduce il reato di tortura nel nostro ordinamento penale, e fanno l’effetto della maestra che torna in classe all’improvviso. Respinti tutti gli emendamenti, il ddl arriverà in Aula il 26 giugno, senza più altri rinvii. La convinzione che di questi tempi non si possa pretendere di meglio nel Belpaese, porta ad accelerare i tempi verso l’approvazione di un testo che il Consiglio d’Europa, per ultimo, e decine di associazioni che hanno lanciato un appello contro la «legge truffa», considerano inadatto e lontano dalle convenzioni Onu e dalle raccomandazioni della Cedu.
Prendiamo ad esempio il reato specifico per pubblico ufficiale, nemmeno lontanamente preso in considerazione per via delle proteste di alcuni sindacati di polizia (a danno della maggioranza delle forze dell’ordine). Nella sentenza resa nota ieri, Strasburgo fa notare che nella notte tra il 20 e il 21 luglio 2001, quando all’interno delle due scuole furono commesse «violenze multiple e ripetute, di un livello di gravità assoluta», «la polizia non stava affrontando una situazione di emergenza, una minaccia immediata che richiedeva una risposta proporzionata ai potenziali rischi». La Corte «ritiene che i funzionari hanno avuto la possibilità di pianificare l’intervento della polizia, analizzare tutte le informazioni disponibili e tener conto della situazione di tensione e dello stress a cui gli agenti erano stati sottoposti per 48 ore». Ma, «nonostante la presenza a Genova di funzionari esperti appartenenti all’alta gerarchia della polizia, non è stata emanata alcuna direttiva specifica sull’uso della forza e non sono state date consegne adatte agli agenti su questo aspetto decisivo».
In sostanza, le Corte europea fa notare stavolta che la tortura e i trattamenti inumani e degradanti inflitti, «con gravi danni fisici e psicofisici», su persone inermi non erano imprevedibili. Non sono state frutto in una situazione sfuggita di mano. E nel frattempo nulla è cambiato.
Per Amnesty international Italia, la condanna della Cedu è «una buona notizia» perché «aiuta la memoria collettiva» e «sottolinea la necessità di rafforzare la cultura dei diritti umani tra le forze di polizia». Ma il ddl in dirittura d’arrivo alla Camera anche per il senatore di Mdp, Felice Casson, tra i firmatari del testo prima che venisse «stravolto in Senato», sarà «da un punto di vista pratico difficilmente applicabile per la nostra magistratura» e «avremo episodi chiari di tortura che non verranno mai puniti».
E al Consiglio d’Europa che due giorni fa chiedeva una fattispecie esente da ogni possibile misura di clemenza, l’Unione delle camere penali risponde di non preoccuparsi, «perché a rendere ineffettiva la norma sulla tortura non c’è bisogno né di amnistie, né di indulti, né di prescrizioni: basta che il Parlamento approvi la legge sulla tortura in via definitiva così com’è».
FONTE: Eleonora Martini, IL MANIFESTO
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