LA GIORNATA POLITICA, ieri, è stata lunga. È iniziata con le dimissioni di François Bayrou, di prima mattina. Il leader del MoDem ha lasciato, seguendo l’esempio della vigilia della ministra degli Eserciti, Sylvie Goulard. A ruota è uscita anche l’altra esponente del MoDem al governo, Marielle de Sarnez: il partito centrista è implicato in un’indagine preliminare su impieghi fittizi sospetti, pagati dal Parlamento europeo ma utilizzati per funzioni di politica interna.
BAYROU HA SPIEGATO con una conferenza stampa offensiva le ragioni delle dimissioni. Ha parlato di «inquisizione», di «forze destabilizzatrici», di «folle macchina mediatica», ha accusato dei denunciatori interessati e in conflitto di interesse. Nega la realtà di «impieghi fittizi: non ne abbiamo mai avuti, sarà facile da provare», annuncia. Bayrou ha affermato che continuerà a sostenere Macron, «una chance» per Francia e Europa, e ha insistito sul fatto di voler lasciare una traccia del suo breve passaggio al ministero della Giustizia: la legge sulla «moralizzazione», per la «riconquista delle fiducia nella politica», sarà la sua eredità. Ma sottolinea che la non partecipazione al nuovo governo è dovuta alla possibilità di potersi difendere, di recuperare la libertà di parola, mentre da ministro non poteva rispondere alle accuse, «come un pugile con le mani legate dietro la schiena». Bayrou mette anche in guardia sulle derive di una «società di perpetue denunce». Per Bayrou «bisogna difendere i lanciatori d’allerta», certo, ma bisogna anche potersi difendere.
Il MoDem resta al governo con delle personalità di secondo piano, che non sono implicate nell’eventuale inchiesta giudiziaria che potrebbe seguire l’indagine preliminare in corso sui soldi del Parlamento europeo.
Il dosaggio del governo Edouard Philippe II ha tenuto conto della nuova situazione a destra: ieri, il gruppo dei Républicains (Lr) all’Assemblea ha formalizzato la spaccatura, una parte è chiaramente nell’opposizione, mentre è nato un gruppo, «costruttivo», con una quarantina di esponenti tra Lr e Udi (centro-destra), che potrebbe votare la fiducia al governo il 4 luglio e poi appoggiare alcune leggi, caso per caso. La stessa situazione si sta presentando con il partito socialista, anche se non è ancora stato votato il capo-gruppo Ps e lo scontro sulla linea ieri non c’è stato.
SPACCATURA CONFERMATA anche alla sinistra della sinistra. Il Pcf ha annunciato che avrà un gruppo autonomo, formato dagli 11 deputati comunisti assieme a 4 eletti dei dipartimenti d’Oltremare.
Non ci sarà così un gruppo unico con la France Insoumise (Fi). Le tensioni sono troppo forti, cresciute nella campagna delle legislative, in alcuni casi sono stati presentati candidati concorrenti tra Pcf e Fi. Jean-Luc Mélenchon non abbandona lo stile da tribuno: la vigilia se l’è presa con il matematico Cédric Villani, medaglia Field, accusandolo di non sapere niente del diritto del lavoro. Villani gli ha risposto in modo ironico, ma questa sceneggiata ha finito per convincere il Pcf a prendere le distanze dal leader di Fi.
FONTE: Anna Maria Merlo, IL MANIFESTO[1]