by Guido Olimpio | 19 Giugno 2017 9:55
Nel conflitto siro-iracheno si aprono nuovi fronti: due i nuovi sviluppi in Siria mentre in Iraq i governativi provano a dare una spallata alla roccaforte di Mosul.
Un F 18 americano ha abbattuto un Sukhoi 22 siriano vicino a Tabqa. Atto che rappresenta una evidente linea rossa da parte del Pentagono nei confronti di Assad e segue segnali simili piuttosto duri. In base alla ricostruzione statunitense attorno alle 16.30 una formazione lealista ha lanciato un attacco contro unità Sdf, coalizione di curdi siriani e ribelli impegnati nell’avanzata verso Raqqa. In risposta all’assalto, gli Usa hanno fatto intervenire i caccia che prima hanno colpito i reparti lealisti, quindi — secondo le loro regole di ingaggio — hanno intercettato un velivolo governativo e lo hanno distrutto. Disperso il pilota. Nel quadrante sono poi proseguiti i combattimenti tra governativi e ribelli. Lo scontro è stato peraltro accompagnato da contatti diretti tra russi e americani allo scopo di evitare, almeno per il momento, altri guai. Un modus operandi già emerso dopo altri episodi bellici che hanno opposto gli assadiani agli Usa.
Ormai è evidente che Washington vuole imporre la sua area di influenza in questo settore attraverso una serie di elementi: il sostegno esteso e continuo ai curdi (che hanno ricevuto armi/rifornimenti) e la creazione di un ombrello militare composto dai caccia ma anche da sistemi missilistici terra-terra Himars schierati di recente. La strategia dei generali è quella di proseguire la manovra per accerchiare una delle capitali dell’Isis e, nel contempo, mantenere una presenza significativa nell’area. Da tempo gli Stati Uniti hanno fatto affluire mezzi ed equipaggiamenti attraverso la Giordania, materiale poi impiegato da unità scelte, ben visibili e fotografate mentre pattugliano la regione con le bandiere al vento. La battaglia di oggi — denunciata da Damasco come un gesto di aggressione — potrebbe in realtà diventare parte di un piano più ampio. C’è un’ala dell’amministrazione Trump che vuole andare oltre il patto con i ribelli siriani: alcuni consiglieri spingono per stoppare l’Iran e le milizie alleate con un’azione muscolosa. Scenario che rischia di trasformarsi in una battaglia aperta tra gli Usa e gli ayatollah. Per ora sembra che le alte gerarchie americane siano restie, ma il tema resta sul tavolo.
A conferma di come tutto sia intrecciato è arrivata la notizia di una rappresaglia iraniana contro il Califfato. I pasdaran hanno bombardato posizioni dello Stato Islamico nella città siriana di Deir Ezzor con alcuni missili terra-terra. Per le fonti ufficiali si tratta di una ritorsione dopo l’attentato compiuto qualche giorno fa da un commando dell’Isis a Teheran. La scelta delle armi — sembra basate in una installazione di Kermanshah — è un messaggio rivolto non solo ai jihadisti. L’Iran ha molte altre possibilità, ma ricorrendo a questi ordigni vuol dimostrare la sua determinazione nello scacchiere. Infine molti timori per le migliaia di civili intrappolati a Mosul Ovest. L’esercito è entrato in alcuni aree della città vecchia dove sono asserragliati i mujaheddin Isis: si tratta dell’inizio di quella che dovrebbe essere l’offensiva finale. Gli insorti continuano a resistere con il consueto impiego di mine, veicoli kamikaze, cecchini e sortite improvvise che hanno reso l’operazione estremamente costosa sia per i militari che per gli abitanti, coinvolti loro malgrado nella battaglia. Nessuno fa previsioni su quanto potrebbe durare.
FONTE: Guido Olimpio, CORRIERE DELLA SERA[1]
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