Lunigiana. Violenze e abusi in caserma, carabinieri sotto accusa
FIRENZE. Pestaggi, violenze, anche abusi sessuali. In serie, per 104 complessivi capi d’accusa. Tutti commessi da militari in divisa. In Lunigiana se ne parlava da tempo. Ancor prima che nelle stanze della procura di Massa Carrara arrivasse le prima denuncia, fatta nell’autunno scorso da un malcapitato (italiano) finito in una delle caserme dei carabinieri del comprensorio, incastonato al confine fra l’alta Toscana, la Liguria e l’Emilia, lungo il passo della Cisa. Alla fine, dopo indagini naturalmente delicate, e una prima svolta a inizio marzo con una trentina di perquisizioni, il giudice ha dato il via libera alle misure cautelari, chieste due mesi prima. Un carabiniere è finito in carcere, tre sono agli arresti domiciliari, quattro con divieto di dimora, e uno è stato sospeso dal servizio. Tra i coinvolti un maresciallo, un brigadiere, alcuni appuntati.
«L’illegalità e l’abuso erano quasi la normalità». Una frase che al procuratore capo Aldo Giubilaro, magistrato espertissimo, con anni e anni di rigoroso servizio per la giustizia, deve essere costata non poco. Perché i carabinieri in Lunigiana sono, o almeno dovrebbero essere, il principale presidio della legalità su un territorio piuttosto vasto, punteggiato da centri medi e piccoli come Pontremoli, Aulla, Fivizzano, Fosdinovo, Licciana Nardi e Mulazzo. Eppure la sua sostituta Alessia Iacopini, che ha coordinato le indagini fatte da altri carabinieri e dalla forestale, ha raccolto le prove di almeno un centinaio di casi di violenze e maltrattamenti. Con l’aiuto anche di intercettazioni ambientali e telefoniche si è composto poco a poco un puzzle ben riassunto dal commento di Giubilaro.
Fra i reati contestati ai militari dell’Arma c’è anche il falso in atti pubblici. Perché la regola, in particolare nella caserma di Aulla ma anche a Licciana Nardi, era quella di falsificare i verbali dopo il «trattamento» riservato al malcapitato di turno. La consuetudine era emersa dopo il pestaggio di un immigrato marocchino fermato dopo un controllo e portato in caserma, ufficialmente per l’identificazione. Picchiato ripetutamente, l’uomo era finito per alcuni giorni in ospedale.
Alla collezione di illegalità non potevano mancare gli abusi ai danni delle donne. Nelle pieghe dell’inchiesta è denunciato un caso di violenza sessuale, una lucciola presa sulla strada e portata in caserma. Ma quante altre hanno preferito stare zitte? Giubilaro non è voluto entrare nello specifico dei reati, limitandosi a spiegare che si tratta di «varie e molteplici cose», e osservando che ciò che colpisce «oltre alla gravità dei fatti è la loro diffusività e normalità, con condotte irregolari verso chi era sottoposto a controlli, persone sia italiane che straniere, e anche strumentalizzazioni a fini privati». Leggi, probabilmente, alcune modiche quantità di stupefacenti che dovevano essere sequestrate e che invece sparivano.
Il lavoro dei magistrati e degli investigatori in questi mesi ha riguardato anche molte persone che erano state fermate e portate in caserma negli ultimi anni. Ed è venuto fuori che i maltrattamenti c’erano ma che per paura le vittime non avevano denunciato i soprusi subiti.
«Erano metodici, sistematici» ha sottolineato ancora Aldo Giubilaro.
La nota ufficiale della procura di Massa Carrara motiva gli arresti «non essendo consentito in uno stato di diritto quale il nostro che la sola appartenenza a una categoria sociale oppure a un corpo, ancorché meritevole e glorioso come l’Arma dei carabinieri, renda immuni da ogni responsabilità, autorizzi persino la commissione di reati, e metta al riparo dal subire indagini».
Al tempo stesso i magistrati apprezzano «che le misure abbiano colpito un numero ristretto di militari, a dimostrazione dell’impegno, della correttezza, del senso delle istituzioni e dello spirito di sacrificio che normalmente pongono nell’adempimento dei loro molteplici e delicati compiti i militari dell’Arma dei carabinieri della provincia di Massa Carrara». Per certo comunque i documenti della pubblica accusa raccontato di una Lunigiana come di un territorio dove i primi a infrangere il codice penale erano quelli che avrebbero dovuto farlo rispettare.
FONTE: Riccardo Chiari, IL MANIFESTO
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