Iran. Attacco dell’Isis al parlamento e al simbolo Khomeini

Iran. Attacco dell’Isis al parlamento e al simbolo Khomeini

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Il presidente Rohani rivolge un appello per una lotta globale al terrorismo ma per Donald Trump sarebbe proprio l’Iran la prima fonte di instabilità e violenza

«Credete che ce ne andremo? Pensate che siamo finiti? Non è così. Rimarremo per sempre, se Dio vorrà». Così gridavano gli uomini dell’Isis che ieri hanno assaltato il Majlis, l’Assemblea parlamentare iraniana, nel video diffuso da Amaq, l’agenzia d’informazione del Califfato. Ventiquattro secondi di immagini girate da uno degli assalitori che, prima di essere ucciso, è riuscito a trasmetterle per testimoniare l’efficacia e la forza di penetrazione dell’organizzazione in uno dei luoghi più sorvegliati dalla sicurezza iraniana a Tehran. Una prova di forza anticipata qualche minuto prima dall’attacco di altri uomini dell’Isis al mausoleo dell’ayatollah Khomeini. Azioni coordinate e altamente simboliche. Ore di sangue e tensione terminate con 12 morti e almeno 46 feriti. Sono entrati in azione due commando di tre-quattro terroristi. Al mausoleo di Khomeini due jihadisti si sono fatti saltare in aria, dopo aver aperto il fuoco contro le persone presenti – ucciso un giardiniere – un altro si sarebbe ucciso ingerendo una capsula di cianuro ed un quarto è stato catturato vivo. Al Majlis l’altro commando, entrato dall’ingresso principale travestito da donne velate, ha aperto il fuoco contro guardie di sicurezza, deputati e visitatori. Un terrorista si è fatto saltare in aria. Per ore si sono ricorse voci, spesso contrastanti, di ostaggi nelle mani degli uomini dell’Isis mentre i parlamentari presenti dell’edificio scandivano slogan contro gli Stati Uniti, poi indicati come “colpevoli” assieme all’Arabia saudita dai Guardiani della Rivoluzione. Fino all’epilogo con l’uccisione di tutto il commando. L’anti-terrorismo iraniano ha poi fatto sapere di aver sventato un altro piano terroristico e di aver arrestato un numero imprecisato di persone. Una circostanza di cui non si fa cenno nella rivendicazione dell’Isis.

«Il messaggio dell’Iran, come sempre, è che il terrorismo è un problema globale e l’unità nella lotta all’estremismo, alla violenza e al terrorismo con la cooperazione regionale e internazionale è la necessità più importante del mondo di oggi», ha commentanto qualche ora dopo il presidente Hassan Rohani rivolgendosi alla comunità internazionale e agli Stati Uniti con cui due anni fa ha voluto firmare un accordo sul programma nucleare del suo Paese per mettere fine ad anni di tensioni e di rischi di guerra. Donald Trump invece vede una realtà mediorientale capovolta. Per il presidente Usa sarebbe proprio l’Iran la fonte principale, se non unica, del terrorismo e non l’alleata Arabia saudita. Eppure a denunciare le evidenti responsabilità di Riyadh sono persino i rapporti annuali del Congresso che, peraltro, l’anno scorso ha dato il via libera al disegno di legge Jasta che consente alle famiglie delle vittime degli attacchi dell’11 settembre di citare in giudizio governi stranieri per coinvolgimento diretto, Arabia saudita in testa.

L’Iran non è un ente benefico, è potente ed influente, finanzia movimenti guerriglieri e gioca con abilità la sua partita nelle crisi in Iraq, Yemen e Siria. Ma questo è ciò che fanno tutti i Paesi del Medio Oriente, nessuno escluso, chi investendo una quota dei miliardi di dollari che incassa dalla produzione petrolifera e chi, in modo più sottile, con l’impiego di spie e servizi segreti. Ma a differenza degli altri l’Iran, nessuno può negarlo, combatte armi in pugno, con un prezzo alto di vite umane tra i suoi uomini e quelli delle milizie alleate, contro l’Isis, al Qaeda e la galassia jihadista in Siria e in Iraq. Lo fa per garantire i suoi interessi e le sue alleanze ma lo fa, e colpisce le stesse organizzazioni che seminano terrore in Europa. Da tre decenni è sul banco degli imputati a causa della sua aperta avversione nei confronti di Israele. Tel Aviv ricambia e accusa Tehran di volerlo distruggere con armi di distruzione di massa. Al momento però l’Iran ha firmato un accordo sul suo programma di energia atomica con le potenze occidentali mentre Israele non ha mai aderito al Trattato di non proliferazione nucleare e secondo esperti e media internazionali avrebbe tra 100 e 200 testate atomiche.

L’Isis proverà a colpire ancora il Paese all’origine del revival sciita che spaventa i re e capi di stato sunniti. È possibile che il Califfato stia pescando in Iran adepti non solo alle frontiere orientali, dove dal Pakistan e dall’Afghanistan arrivano terroristi che hanno colpito più volte in passato, ma anche tra gli iraniani arabi: 2% dei quasi 80 milioni di abitanti. Se è vero che le minoranze sono rappresentate anche nell’élite politica – la guida suprema Ali Khamenei fa parte di quella azera e l’ex ministro degli esteri Salehi appartiene a quella araba – vi sono stati casi, anche di recente, di conflitti nel Khuzestan, Belucistan oltre che nel Kurdistan iraniano, sfociati in incidenti gravi e seguiti da dure misure repressive.

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