Attentato a Londra. La retata nel covo dei «pachistani»
BARKING (LONDRA) Veronica alla fine aveva spento la tv e s’era addormentata tardi. Negli occhi le breaking news del sabato sera, nelle orecchie i video degli spari. Il terrore nel centro di Londra, la cronaca marziana d’un altro pianeta per chi vive a 14 chilometri East: London Bridge è anni luce da questa periferia di Barking, immigrati di vecchia generazione e in odor di Brexit, palazzine sulla tangenziale, giardinetti per donne velate. «Erano le 7 — Veronica Odalapo, 45 anni, ieri mattina s’è svegliata di colpo — e mi sembrava un incubo: sparavano ancora, come la sera prima in tv! Ma stavolta succedeva davanti a casa mia…». Veronica s’è affacciata su King’s Road e li ha visti: i tre vicini di casa buttati a terra e ammanettati, la faccia in giù, i poliziotti che urlavano dappertutto. Otto uomini e quattro donne, tutti arrestati senza un dubbio dai corpi speciali, tre di loro portati via con l’ambulanza. I nove piani degli Elizabeth Fry Flats non sono un ginepraio e più o meno ci s’incrocia: quelli del piano terra li chiamavano tutti «i pachistani», anche se nessuno sa davvero da dove venissero, «gente carina, niente da dire, erano qui da tre anni…». Gente come noi, spiega Damien Pettit, altro inquilino: «Ho riconosciuto una faccia dalle foto della polizia, sono sotto choc. Non ci credo. Aveva un perfetto accento londinese. Faceva l’autista di bus, andava in una palestra della zona, era uno impegnato nel sociale, si dava da fare per i senza tetto…».
Con un tetto e con la legge. Barking è un posto così: dove l’islamico duro va a sputare sulle tombe dei soldati caduti in Afghanistan e il sottoproletario inglese vota il British National Party; dove tutto si mischia e tanto si confonde. Almeno uno dei tre assassini del sabato sera sarebbe passato da questa linda e ordinata palazzina, era sposato, aveva due figli. La moglie potrebbe essere una delle quattro donne di Barking: tutte si son fatte portar via coperte, una in burka total black e un’altra col volto un po’ mostrato, eleganti occhiali da sole. Nessuno le aveva mai viste così: «Non giravano molto, però il burka non lo portavano — racconta un vicino —, avevano sempre i loro bambini intorno». E gli uomini? «Giocavano a ping pong nella lobby del palazzo. Leggevano il Corano, ma non sembravano religiosi fanatici. Erano socievoli». «Quando l’anno scorso ho aiutato uno di loro a spingere l’auto in panne — testimonia Said Mohammad, 52 anni — il giorno dopo s’è presentato con un delizioso pollo Biryani e ce lo siamo gustato insieme».
Il blitz di Barking è una delle poche certezze di queste ore d’indagini, dice Scotland Yard. Coordinato con un altro, a East Ham, due uomini forse africani fermati mentre cercavano di fuggire da una finestra. Sarebbe certo che fosse proprio un britannico d’origine pachistana uno dei terroristi uccisi, d’origini marocchine un altro. Nella palazzina di King’s Road, si cercano testimonianze sul furgone Renault bianco usato per ammazzare a London Bridge. Ma «i pachistani» avevano una macchina rosso mattone, che è stata sequestrata, e solo un vicino parlando coi tabloid inglesi ha dato qualche elemento utile: «Qualche giorno fa, uno di loro mi ha avvicinato per sapere dove avessi noleggiato il mio furgone. Mi ha detto che gliene serviva uno simile per un trasloco…».
Mogli, bambini, macchine. Che cosa faceva pensare a una cellula del terrore, in quel pianoterra? Nella trama banale della quotidianità, qualche strappo: una discussione con i sikh del tempio in fondo alla strada, mesi fa. E poi la lite alla moschea Jabir Ibn Zyad, oltre il parco e la rotonda, che aveva fatto parlare tutta la comunità islamica: uno degli arrestati dell’alba era stato cacciato dopo un’aperta contestazione all’imam. «Non gli piaceva mai il discorso del venerdì — racconta Salahudee Jayabdeen, 40 anni —. E negli ultimi due mesi s’era messo a interrompere la preghiera. Non ricordo esattamente che cosa criticasse, però a un certo punto gli fu detto d’andare fuori dalla moschea. Lui si oppose. E allora fu mandato via con la forza». Al centro islamico, non c’è molta voglia d’aggiungere particolari: l’imam si nega, l’omino del bar è già stanco delle domande. «Siamo musulmani pacifici», la risposta in automatico.
I manifesti dietro il bancone invitano all’Haji prossimo venturo, 1.500 sterline volo e albergo. Uno dei figli del terrorista pare venisse qui a scuola di Corano: ci accompagnano all’uscita, prima o poi sanno che arriva Scotland Yard .
Francesco Battistini
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