Reggiani Macchine licenzia neomamma. Scioperano in 230
A 30 anni, appena diventata mamma, torna in fabbrica ma non trova più il suo posto di lavoro. Licenziata. Per quelle come lei, nessun Family day. Per fortuna la solidarietà e la consapevolezza che i diritti non sono indivisibili e che solo uniti li si può tutelare – per tutti – hanno ispirato i colleghi della donna che hanno incrociato immediatamente le braccia.
È successo nel bergamasco. A darne notizia ieri sono statigli stessi sindacati a fianco ai quali si sono schierati i lavoratori: «Tutti in sciopero, immediato e all’improvviso. I 230 dipendenti della Reggiani Macchine di Grassobbio sono davanti ai cancelli per protestare contro il licenziamento di una collega e sostenere la trattativa che Fim Cisl e Fiom Cgil stanno intrattenendo con l’azienda, da meno di 18 mesi assorbita dal gruppo americano Efi e specializzata nella produzione di macchinari per la stampa».
L’azienda – riferiscono i sindacati – si difende sostenendo che il licenziamento della «donna di 30 anni, da poco rientrata dalla maternità» è avvenuto «per giustificato motivo oggettivo e soppressione della mansione». Ma Fim Cisl e Fiom Cgil, spiegano in una nota che «i lavoratori sono preoccupati soprattutto dalle modalità e dalle relazioni sindacali che la proprietà ha adottato da qualche tempo, e chiedono il ritiro del licenziamento e il ripristino di un sistema di relazioni corrette». Sembra infatti che la neomamma sarebbe stata licenziata per una riorganizzazione degli uffici non comunicata ai rappresentanti sindacali. La stessa proprietà avrebbe ammesso, secondo fonti sindacali, di non essere in crisi, e di aver assunto altro personale negli ultimi giorni.
«Bisognerà approfondire ciò che è successo», ma se così sono andate le cose, commenta Titti Di Salvo, vicepresidente dei deputati del Pd, si tratta di «un fatto grave». Ma il gesto di solidarietà dei colleghi, «è uno straordinario segnale – aggiunge – È questa la via per sconfiggere le ingiustizie e l’arroganza che è spesso dietro alle scelte pagate dai lavoratori e soprattutto dalle lavoratrici. Da Bergamo arriva una lezione di futuro».
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