by Vincenzo Maccarrone, Arianna Tassinari, il manifesto | 14 Maggio 2017 17:19
Il primo maggio scorso a Torino hanno fatto sciopero. I lavoratori pongono l’attenzione sul problema dell’incertezza e la scarsa quantità delle ore lavorative, che si traduce in incertezza e scarsità del salario
Dopo i ciclo-fattorini di Foodora, anche quelli di Deliveroo si muovono. Il primo maggio scorso a Torino hanno fatto sciopero. Arrivata nel febbraio 2017 l’azienda ha tenuto a differenziarsi rispetto a “quelli in rosa” (il rosa è il colore di Foodora, ndr). Mentre da ottobre Foodora retribuisce i suoi fattorini a cottimo, Deliveroo ha proposto ai neo assunti una paga oraria con un supplemento aggiuntivo per ciascuna consegna realizzata.
Un tentativo di presentarsi come “i buoni” che però contrasta con quanto sta avvenendo nel Regno Unito, dove Deliveroo è oggetto da mesi di proteste[1] da parte dei suoi lavoratori di Londra, Brighton e Leeds proprio perché applica un sistema di pagamento a cottimo, che secondo le rivendicazioni dei rider porta loro a guadagnare meno del salario minimo orario legale. Per maggio è atteso il pronunciamento del tribunale del lavoro britannico sullo status dei lavoratori di Deliveroo (o “Slaveroo”, come è stata soprannominata dai fattorini in lotta).
Se il giudice dovesse confermare la logica seguita finora nelle sentenze su Uber e CitySprint, ossia che è il controllo sul processo di lavoro che determina se un lavoratore è un dipendente o un autonomo, la multinazionale rischia di vedere seriamente compromesso un modello basato sulla flessibilità estrema della gestione della sua forza lavoro, garantita dallo status di lavoratori autonomi assegnato ai propri rider. Non è un caso che di recente Deliveroo abbia fatto circolare fra il proprio staff un documento[2] (poi finito nelle mani di una giornalista del Financial Times) in cui si spieghi in maniera dettagliata come rivolgersi ai corrieri, per evitare di fornire argomentazioni al giudice. E così i rider diventano “fornitori indipendenti” (guai a chiamarli “dipendenti”!) e il contratto di lavoro è invece un “accordo di fornitura”.
Il primo maggio dei lavoratori torinesi di Deliveroo nasce però per motivazioni differenti, e in un certo senso mostra quanto poco innovative siano alcune pratiche di lavoro all’interno delle aziende della gig economy. Uno degli elementi dello sciopero di Foodora che aveva colpito chi, come noi, osserva da tempo le dinamiche di lavoro in questi settori innovativi era il cosiddetto “algorithmic management[3]”, la gestione dei turni ultra-flessibile automatizzata tramite un algoritmo. Ma nel caso di Deliveroo, come si legge nel volantino[4] di rivendicazione dello sciopero, il problema è semmai l’opposto: dalla prima settimana l’azienda ha chiesto ai lavoratori di indicare la propria disponibilità a lavorare in determinate fasce orarie, per poi limitarsi a confermare questo orario nelle settimane successive.
I rider raccontano che nel caso non siano disponibili per un turno, corrono il rischio di perdere quello ‘slot’ e non averlo mai più riassegnato – portando ad una progressiva diminuzione delle ore di lavoro di settimana in settimana. Sparisce così la tanto sbandierata flessibilità delle aziende della gig economy; semmai, la vicenda conferma che i ciclo-fattorini di autonomia nella gestione del proprio lavoro ne hanno ben poca. La seconda rivendicazione dei rider torinesi si focalizza sulla distribuzione delle ore lavorative. Di fronte ad un numero limitato di turni, ‘spalmati’ su una flotta sempre più ampia, i fattorini chiedono invece un monte ore settimanale garantito di 10 ore a testa.
Come già i rider Deliveroo a Brighton[5], che chiedevano uno stop alle assunzioni per garantire ad ogni fattorino una quantità adeguata di consegne, e dunque di guadagni, i rider torinesi pongono l’attenzione sul problema dell’incertezza e la scarsa quantità delle ore lavorative, che si traduce in incertezza e scarsità del salario. Le rivendicazioni riguardo alla distribuzione equa dei turni di lavoro, e indirettamente riguardo alla creazione da parte dell’azienda di un serbatoio di riserva della forza lavoro, aprono un nuovo terreno di conflitto riguardo all’organizzazione del lavoro nella gig economy, in cui l’equilibrio tra flessibilità e sicurezza appare del tutto precario e sbilanciato in favore dell’azienda. Mentre si attendono risposte da Deliveroo, la notizia dimostra che le proteste dei lavoratori della gig economy non sono del tutto sopite anche in Italia.
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