by Chiara Cruciati, il manifesto | 31 Maggio 2017 10:21
La strategia è nota, la stessa applicata da governi e regimi in crisi di legittimità: usare la paura per piegare opposizioni e voci indipendenti. L’Egitto non è da meno: così si può spiegare la debolezza delle reazioni agli attacchi perpetrati dal Cairo a società civile, media, organizzazioni locali.
La minaccia di oggi è lo Stato Islamico: il pugno di ferro è l’alternativa – questo il messaggio del regime – al terrorismo di matrice islamista. Il popolo egiziano, da parte sua, schiacciato da una brutale crisi economica e dalla durezza della repressione non riesce a reagire.
Le bombe egiziane su Derna (che, dice il portavoce dell’esercito egiziano, proseguiranno, mentre fonti anonime riferiscono all’agenzia New Arab che truppe speciali egiziane sono state dispiegate in Libia a sostegno di Haftar) servono a radicare l’impressione di una minaccia concreta, quella islamista, che uccide i copti e punta ad allargarsi al resto del paese.
Ma la vera minaccia è statale. Ieri è passata per la firma posta dal presidente al-Sisi alla legge approvata sulle ong approvata sei mesi fa dal parlamento: la normativa pone le organizzazioni non governative (straniere e locali che ricevono finanziamenti dall’estero, normale pratica di sussistenza in ogni angolo del mondo) sotto il controllo dell’esecutivo.
Non si potranno pubblicare sondaggi e rapporti senza il permesso dello Stato. Le donazioni superiori a 550 dollari dovranno essere approvate dal governo entro 60 giorni. Sarà lo Stato a decidere sulla costituzione di una nuova associazione: verrà redatto un piano di sviluppo che indicherà i settori di intervento e autorizzerà ( tramite il Ministero della Solidarietà sociale) la fondazione di un’organizzazione.
Le ong straniere dovranno pagare 16.500 dollari e su tutti vigilerà un nuovo dipartimento dipendente da servizi segreti e esercito. Chi violerà la legge rischia da uno a 5 anni di carcere e 55mila dollari di multa.
L’obiettivo è palese: zittire, tenendole sotto stretta sorveglianza, le organizzazioni che in questi anni hanno lavorato per monitorare abusi e violazioni, creare consapevolezza, tutelare le vittime.
Critiche sono subito arrivate da Amnesty International: «È un colpo catastrofico ai gruppi per i diritti umani in Egitto – ha commentato Najia Bounaim, responsabile di Ai in Nord Africa – La severità delle restrizioni imposte minaccia di annientare le ong nel paese».
Il Cairo si difende: la legge serve a proteggere lo Stato dalle interferenze esterne, dal «caos». In realtà si tratta dello stesso filo rosso che collega ong, stampa e partiti di opposizione. Nei giorni scorsi 21 agenzie di informazione sono state oscurate dal governo.
Tra questi al Jazeera e Huffington Posty Arabic, l’agenzia indipendente Masa Masr, il noto quotidiano Daily News Egypt e al Borsa, una delle più rinomate agenzie di informazione finanziaria, gestita da giovani giornalisti. L’accusa, per tutti, è aver ricevuto fondi dal Qatar, dai Fratelli Musulmani, dai nemici della stabilità del paese.
Contro l’uomo solo al comando c’è, però, chi si organizza trovando negli attacchi del regime nuova forza: dopo l’arresto di Khaled Ali, avvocato per i diritti umani e fondatore del partito di sinistra Pane e Libertà, sei partiti di opposizioni si sono coalizzati scegliendolo come candidato alle presidenziali del 2018.
Con un comunicato congiunto il suo partito, Alleanza Popolare (sinistra), il Partito della Costituzione di El Baradei (liberale), Strong Egypt Party (islamico riformista), il Movimento 6 Aprile (sinistra) e i Socialisti Rivoluzionari hanno annunciato il sostegno ad Ali.
Contro di lui, rilasciato su cauzione, è stato aperto un fascicolo per «insulto alla pubblica decenza»: la prima udienza è prevista per luglio.
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