by Roberto Ciccarelli, il manifesto | 3 Maggio 2017 10:36
Governo (Poletti) e Pd (Renzi) celebrano per l’aumento dell’occupazione giovanile. Cgil: «Gli scostamenti decimali non incidono sulla stagnazione del mercato». Continua il crollo delle partite Iva e la crisi tra i lavoratori 35-49enni
A marzo i disoccupati con più di 50 anni hanno superato il numero dei disoccupati giovani tra i 15 e i 24 anni. In questo mese i primi erano 567 mila a fronte dei 524 mila tra chi ha meno di 25 anni. Tra febbraio e marzo 2017 i disoccupati «anziani» sono aumentati di 59 mila unità, 103 mila in più rispetto a marzo 2016. Ciò ha portato il tasso di disoccupazione ad aumentare al 6,7%, il livello più alto da novembre 2014 in questa fascia di età. Per l’Istat è la prima volta che accade dall’inizio delle serie storiche mensili (2004). Nelle classifiche del lavoro precarizzato e povero in Italia, questo storico sorpasso sembra essere dovuto principalmente alla fine della mobilità e alla riduzione temporale degli ammortizzatori sociali decisi dal Jobs Act.
IL BOOM DELLA DISOCCUPAZIONE tra gli over 50 non ha modificato il trend del mercato del lavoro emerso con il Jobs Act. L’Istat conferma che, su base annua, l’aumento dell’occupazione ha interessato questa categoria di età sulla quale si sono concentrate le trasformazioni dei vecchi contratti a orario ridotto (cig o part-time) in contratti «stabili» da dipendenti. Rispetto al marzo dello scorso anno, la crescita degli occupati è stata registrata in questa tipologia contrattuale pari a 310 mila unità. Di questi 267 mila sono over 50. Dunque, la stragrande maggioranza, anche se l’occupazione cresce anche nelle altre fasce d’età.
LA TIPOLOGIA DI LAVORO dipendente a tempo pieno va distinta da quella a termine. Sull’anno la prima cresce di 143 mila unità. I precari sono invece 167 mila. La differenza tenderà ad aumentare in vista dell’avvio della stagione estiva quando il precariato stagionale gonfierà le statistiche confermando il primato dei lavori a termine nell’occupazione italiana.
QUESTI DATI VANNO INSERITI nel contesto di un mercato del lavoro asimmetrico dove l’occupazione giovanile aumenta tra i 15-34enni (44 mila unità) e il tasso di disoccupazione diminuisce al 34,1%, con un calo di 0,4 punti. Su questo exploit possono avere pesato i bonus per «garanzia giovani» che finanzia tirocini per gli under 29. Nei sette Paesi analizzati dalla Corte dei conti europea in un recente rapporto l’80% dei giovani «riattivati» sul mercato del lavoro precario ha trovato una qualche forma di occupazione: 90% in Francia, 86% in Croazia. L’Italia è ferma al 31%, meno della metà dell’Irlanda, penultima con il 64%. Il tirocinio, una forma di occupazione calcolata dalle statistiche, porta a un lavoro in 3 casi su 10. Il calo della disoccupazione giovanile registrato a marzo può dunque rivelarsi effimero. In ogni caso va parametrato con la media europea che è inferiore al 20%.
IL MERCATO DEL LAVORO è stagnante. Lo confermano tre dati: la disoccupazione generale che sale all’11,7% (+41 mila disoccupati in un mese); la diminuzione degli inattivi (-34 mila), ovvero dei disoccupati che non cercano lavoro; il tasso di occupazione fermo al 57,6%. Dopo la Grecia è il peggiore in Europa. Questo significa che non si crea nuova occupazione, quella che esiste è generata dalla trasformazione di vecchi contratti o da lavoro precario e precarissimo. Gli inattivi che hanno detto all’Istat di avere cercato lavoro almeno una volta nelle ultime settimane prima della rilevazione statistica sono risultati disoccupati (da qui l’aumento del tasso relativo), ma non l’hanno trovato. Un mercato del lavoro è fermo quando non c’è un travaso dal bacino dei disoccupati a quello degli occupati.
I PIÙ DANNEGGIATI DALLA CRISI sono due categorie fondamentali della forza lavoro contemporanea: la fascia di età tra i 35 e i 49 anni, considerata la più «produttiva» e il lavoro autonomo e indipendente che continua la sua silenziosa e apparentemente irreversibile caduta: a marzo le partite Iva sono calate di 70 mila unità. Questo è uno dei risultati del Jobs Act: uno dei suoi assi principali è stata la «risubordinazione» del lavoro attraverso il contratto a tutele crescenti dove a crescere è solo la libertà di licenziare da parte del datore di lavoro.
LE PRIME AVVISAGLIE sono arrivate dall’osservatorio sul precariato dell’Inps[1]: nei primi due mesi del 2017 i licenziamenti disciplinari nelle aziende con più di 15 dipendenti sono aumentati del 30 per cento. Con il taglio degli sgravi, i contratti a tempo indeterminato sono calati del 12%. È uno degli effetti dell’abolizione dell’articolo 18, un altro pilastro del Jobs Act. I bonus renziani, tra l’altro in calo verso lo zero nel 2018, non hanno scosso questo stagno. A marzo l’occupazione è scesa di 7 mila unità, anche se il nucleo degli assunti con 11 miliardi di soldi pubblici resiste ancora.
LE REAZIONI DEL GOVERNO (Poletti) e del Pd (Renzi) si sono concentrate sul calo della disoccupazione giovanile dal 44 al 34% in due anni. Sono i postumi della stagione renziana e l’aumento di una frazione dell’occupazione vale un brindisi. «Gli scostamenti decimali non incidono sulla stagnazione del mercato» ha commentato Tania Scacchetti (Cgil). «Quando finirà l’effetto della decontribuzione, la disoccupazione aumenterà ancora di più» aggiunge Giulio Marcon (Sinistra Italiana). « Il lavoro si crea con gli investimenti, che il Governo Renzi ha tagliato per finanziare incentivi temporanei e bonus a pioggia» sostiene Nunzia Catalfo (M5S).
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