by Chiara Cruciati, il manifesto | 27 Maggio 2017 9:58
G7. «Diritto degli Stati a chiudere le proprie frontiere». Gentiloni parla di «punti comuni» sul commercio, ma non c’è accordo. Solo l’asse Gb-Usa
L’immagine plastica del G7 di Taormina la dà Greenpeace. Ieri sulla spiaggia di fronte ai Giardini Naxos una riproduzione della Statua della Libertà è stata immersa in acqua con addosso il salvagente arancione, quello lanciato in mare ai migranti in arrivo.
PRIMA IL PIANETA TERRA, è il messaggio in riferimento a due dei temi caldi sul tavolo dei leader di Usa, Giappone, Germania, Francia, Gran Bretagna, Canada e Italia. Clima e migrazioni. Sullo sfondo, mar Mediterraneo e costa siciliana, approdo di centinaia di migliaia di migranti africani.
Temi tanto caldi che poche ore prima del vertice il presidente del Consiglio Europeo Tusk lo ha definito «il più impegnativo degli ultimi anni».
Perché a Taormina manca una visione comune sui temi centrali (clima, migrazioni, commercio), una deficienza legata alla narrativa trumpiana che obbligherà ad un documento finale striminzito, sei pagine a fronte delle usuali 30-40 cartelle, prodotto dell’aspro confronto a porte chiuse.
SULLA QUESTIONE EPOCALE delle migrazioni, la bozza del documento finale ricalca le posizioni di chi opta per muri e fili spinati, con Roma che ha visto affossate le speranze di una maggiore partecipazione dei partner nell’accoglienza: «Riaffermiamo i diritti sovrani degli Stati a controllare i propri confini e a fissare i limiti chiari sui livelli di migrazione», prevedrebbe la bozza.
Ovvero a chiudere le frontiere e a fissare soglie in ingresso. Ma ricalca anche i memorandum d’intesa che l’Italia sta siglando con i paesi di partenza, Libia in primis, ma anche Egitto e Tunisia (con cui sono in corso trattative più o meno avanzate): il documento parla di «necessità di sostenere i rifugiati il più vicino possibile ai loro paesi di origine in modo che siano in grado di tornare».
NESSUN ACCENNO al ruolo statunitense: Washington non intende assumere alcun impegno su quote e redistribuzione di richiedenti asilo e migranti, molti provenienti da paesi di cui gli Stati uniti hanno infiammato crisi e conflitti bellici.
Prima viene l’interesse nazionale dei paesi di accoglienza, poi quelli dei migranti in fuga da guerre, persecuzioni, povertà. Eppure fino a poche ore prima fonti italiane riportavano di un buon compromesso, in riferimento – forse – al coinvolgimento dei paesi di partenza di cui sono ormai noti i brutali metodi: campi di detenzione, schiavitù, tratta di esseri umani da parte di milizie armate, tribù o Stati falliti.
ALTRO NODO IRRISOLTO è stato il clima. L’aperta contrarietà della nuova Casa bianca all’accordo di Parigi del 2015 ha acceso un clima già estremamente teso.
Fonti diplomatiche lamentano l’impossibilità di un compromesso, timore confermato dal premier Gentiloni che ieri sera parlava sibillino di discussione in fieri: «Resta sospesa la questione su Parigi rispetto al quale il presidente Trump ha in corso una riflessione interna». Molto più dura la Francia che non intende stracciare l’intesa di due anni fa.
A Trump il negazionista interessano altri temi, protezionismo commerciale e lotta al terrorismo. Non a caso il secondo tema è stato al centro del suo viaggio in Arabia saudita prima e a Bruxelles dopo: 110 miliardi di dollari in armi a Riyadh e al fronte sunnita nella speranza che si crei una Nato araba anti-Iran (non anti-Isis) e l’insistenza al summit dell’Alleanza Atlantica perché gli Stati membri versino di più, in termini di denaro e uomini.
Ieri l’unico tema su cui si è evitato il litigio è stata la sicurezza: il documento finale sulla questione prevede – su richiesta di Londra – il coinvolgimento dei provider internet e delle società dei social media e la collaborazione tra intelligence, in particolare per «gestire il fenomeno» dei foreign fighters.
LO SCONTRO COMMERCIALE, invece, ha avuto come principale target la Germania, accusata di “invadere” il mercato Usa con i propri prodotti. Un dietro le quinte spinoso, con Trump che avrebbe definito i tedeschi «cattivi, molto cattivi». Smentisce il presidente della Commissione Europea Juncker. Ma che i rapporti tra Berlino e Washington siano pessimi non è un segreto.
E se Gentiloni ha fatto riferimento a presunti «punti comuni» anche sulla questione commerciale, sarebbe invece stato raggiunto a Taormina l’accordo sull’asse Regno Unito-Usa: dopo la Brexit, May guarda al vecchio alleato per rimpiazzare la Ue.
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