by Marco Revelli, il manifesto | 21 Maggio 2017 9:18
Un mare di persone, colorato festoso e accogliente. «Il mare a Milano» si presentava così ieri a chi arrivava alle due del pomeriggio a Porta Venezia, con il grande striscione ufficiale giallo «Insieme senza muri», a segnare il denominatore comune del grande mosaico. E poco distante l’altro, bianco a lettere nere, a far chiarezza per tutti sul comune sentire: «No one is illegal», con vicino, a colori, quello ancor più grande con la traduzione, «Nessuna persona è illegale».
Affermazione perentoria che ritornerà in mille cartelli, magliette, adesivi zizzagando lungo tutto il serpentone del corteo. Intorno tanta, tanta gente di ogni etnia, di ogni età, di ogni paese che s’incrociava, incontrava, mescolava con accenti diversi, vestiti diversi, storie diverse, appartenenze diverse, ma tutti trascinati nel ritmo amico della grande festa tranquilla. E tutti coinvolti nella comune consapevolezza che si stava, insieme, sul versante di uno spartiacque che sta decidendo del futuro del mondo e del mondo del futuro, rispetto al quale non si può più dilazionare il momento della scelta. Se non ora quando?
Si è discusso molto sulle linee di frattura che organizzano oggi il campo del conflitto politico e sociale. Quella che divide Destra e Sinistra, dichiarata da più parti obsoleta e stracca. Quella che contrappone Alto e Basso, emergente e turgida, capace di disegnare lo scenario dei nascenti populismi. Quella tra Conservazione e Innovazione, con tutto il carico di ambiguità che entrambi i termini contengono. La linea di frattura rispetto alla quale si è schierata ieri Milano (e a Milano l’Italia) è la linea che separa e contrappone Umano e Inumano. Linea d’ombra estrema, in qualche modo terminale, che conduce le comunità alle questioni ultime: essere o non essere ancora capaci di riconoscersi l’un l’altro, e il Noi nell’Altro.
Chi ha sfilato ieri ha sentito il bisogno di dire molto semplicemente, che voleva «restare umano». Non girare lo sguardo di fronte all’immagine di un uomo che muore, di un bambino che affoga, di una donna che partorisce su una spiaggia e poi spira. Una scelta potente (con una carica di energia positiva forte), perché quando l’Umano scende in campo con tutta la sua forza, gli argomenti del Disumano svaniscono, come i fantasmi di un romanzo gotico: lo si vedeva bene ieri dove, nella «sua» Milano Matteo Salvini sembrava una misera ombra, irreale e grottesca, evocata solo da qualche cartello irridente (uno recitava + Salvati /- Salvini).
Ma il 20 maggio milanese ha detto anche un’altra cosa. Un calmo, pacato ma fermo No all’ipocrisia politica. Alle finzioni e ai giochi doppi o tripli. I cartelli gialli con su scritto «No Minniti e Orlando» che costellavano il corteo in tutti i suoi segmenti, dalla coda alla testa, non erano espressione di una posizione «di parte». E nemmeno di una vocazione «divisiva».
Nella loro rizomatica pervasività esprimevano un sentimento diffuso e condiviso d’intransigenza su questioni di fondo quali sono quelle dei diritti e del rispetto della vita: non si può ridurre la nuda vita a minaccia del «decoro urbano». Non si possono creare corsie veloci e preferenziali per le espulsioni a scapito dei giusti gradi di giudizio. Non si può trattare con stati canaglia e tribù affinché respingano a crepare nel deserto coloro che non si vuole veder approdare sulle nostre spiagge… Semplicemente non si può. Chi lo fa, magari di nascosto, dietro il paravento dell’ipocrisia diplomatica, si colloca sul versante del disumano.
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