Prigionieri uccisi a Saydnaya, la Siria respinge le accuse Usa

Prigionieri uccisi a Saydnaya, la Siria respinge le accuse Usa

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Secondo l’Amministrazione Trump decine di prigionieri verrebbero impiccati ogni giorno e poi bruciati per non lasciare traccia

Damasco nega «categoricamente» le accuse lanciate dagli Stati Uniti sulle «esecuzioni di massa» che avverrebbero nel carcere di Saydnaya (Damasco), dove le vittime, afferma Washington, verrebbero addirittura bruciate in un «forno crematorio». «Le asserzioni dell’Amministrazione americana sul cosiddetto crematorio della prigione di Saydnaya fanno parte di una storiella ideologica staccata dalla realtà», ha commentato una fonte del ministero degli esteri siriano. Damasco ha sempre smentito di commettere massacri di detenuti politici e il presidente Bashar Assad in più occasioni ha parlato di «epoca delle false notizie». Non si può fare a meno di notare che la denuncia statunitense è giunta, casualmente, mentre Donald Trump è al centro delle polemiche per il licenziamento del capo dell’Fbi James Comey e per aver rivelato una informazione segreta sull’Isis al ministro degli esteri russo Lavrov e all’ambasciatore di Mosca Kisliak.

Altrettanto casualmente l’accusa americana è arrivata alla vigilia di una nuova sessione di colloqui indiretti, ieri a Ginevra, tra i rappresentanti del governo siriano e dell’opposizione. Colloqui dove la Siria, secondo i suoi nemici, avrebbe una posizione «intransigente», con Assad che respinge la condizione dell’opposizione di una sua immediata uscita di scena. Un’idea precisa su come mettere subito fuori gioco Assad sembra averla il ministro israeliano dell’edilizia ed ex generale Yoav Galant secondo il quale «È giunto il tempo di eliminare Bashar Assad», colpevole a suo dire di «genocidio». Galant in realtà minacciava l’Iran più che il presidente siriano poiché ha paragonato l’eliminazione di Assad al «taglio della coda del serpente. Dopo questo ci possiamo concentrare sulla testa, che si trova a Teheran».

Stuart Jones, alto diplomatico Usa per il Medio Oriente, l’altro giorno ha sostenuto che il governo di Damasco «sarebbe sprofondato in un nuovo livello di depravazione» con il sostegno di Russia e Iran. Jones ha mostrato le foto satellitari del presunto forno crematorio in Siria ricavato, ha detto, modificando un edificio di Saydnaya. Immagini scattate durante vari anni, a partire dal 2013 che non costituiscono una prova chiara. In una foto presa nel gennaio del 2015, ad esempio, si vede soltanto un’area del tetto dell’edificio con la neve che si scioglie. Ma per gli americani basta a confermare la loro tesi. «Noi crediamo che il regime siriano abbia installato un crematorio nella prigione e che potrebbe disfarsi dei resti dei detenuti per nascondere l’ampiezza delle esecuzioni di massa«», ha detto Jones, aggiungendo che molti corpi sarebbero gettati in fosse comuni. A sua volta il Dipartimento di stato afferma che nella prigione verrebbero impiccati circa 50 detenuti al giorno. Accusa simile a quella formulata in un rapporto presentato lo scorso 7 febbraio da Amnesty sempre contro Saydnaya in cui, secondo l’Ong dei diritti umani, sarebbero stati impiccati non meno di 13.000 prigionieri dal 2011 al 2015.

Washington ora mette in forte dubbio l’intesa che ha appena raggiunto con la Russia sulla creazione di zone cuscinetto in Siria, concordata nei colloqui di Astana tra Mosca, Ankara e Teheran. «Alla luce del fallimento dei precedenti accordi per il cessate il fuoco, abbiamo motivo di essere scettici» ha detto Jones. Ogni volta che Trump finisce sotto accusa per i suoi rapporti con Mosca poi l’Amministrazione si danna l’anima per dimostrare che il presidente e i suoi uomini in realtà fanno uso del pugno di ferro contro la Russia e i suoi alleati. La portavoce del Dipartimento di Stato, Heather Nauert, ad esempio, ha ricordato che il Segretario di Stato Rex Tillerson è stato «fermo e chiaro» nel suo recente incontro con l’omologo russo Lavrov, ribadendogli che Mosca «deve usare il suo potere per tenere a bada il regime di Assad».
Nessuno intanto parla delle oltre 20 vittime civili fatte in Siria da un bombardamento della coalizione a guida Usa rivelato dall’Osservatorio nazionale siriano per i diritti umani, una ong vicina all’opposizione. La stessa ong riferisce inoltre che è diminuito fino al 94% il grado di violenza in Siria nelle “zone di de-escalation” definite dall’accordo di Astana.

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