Il lancio missilistico effettuato da Pyongyang proprio nei giorni dell’inaugurazione del forum sulla «Belt and Road Initiative» (Bri), la scommessa globale della Cina, ha riportato la questione nordcoreana apparentemente al punto di partenza, dopo le aperture registrate nei giorni scorsi.
Proprio a Pechino, giunti per assistere alle celebrazioni della grandezza diplomatica, per quanto in nuce, della Cina, tanto gli emissari americani quanto quelli nord e sud coreani avevano espresso parole di ottimismo riguardo la possibilità di giungere finalmente a un momento di svolta: sembravano ormai in procinto di annunciare finalmente un ritorno a un tavolo delle trattative.
E forse proprio per questo motivo, Kim Jong-un ha effettuato un lancio di missile: per arrivare a una eventuale trattativa con una posizione di forza, almeno dal suo punto di vista.
Del resto Pyongyang, di fronte allo sgomento di tutta la comunità internazionale, non ha battuto ciglio, rivendicando il lancio e specificando che l’azione è servita a dimostrare la propria pericolosità, soprattutto per gli Usa.
Il missile lanciato rappresenterebbe un evidente passo avanti tecnologico di Pyongyang, confermato anche dagli esperti americani, secondo i quali ormai la Corea del Nord sarebbe pronta al lancio di un missile balistico intercontinentale.
Anche per questo oggi è stato convocato un importante Consiglio di Sicurezza dell’Onu, su richiesta di Usa, Giappone e Corea del Sud. Secondo l’agenzia di stampa nordcoreana Kcna, il lancio avrebbe testato con successo un nuovo missile balistico «di medio raggio», battezzato Hwasong 12, capace di portare una testata nucleare «di grande dimensioni».
E con il test sono arrivate nuove minacce: «Se gli Usa tenteranno maldestramente di provocare la Repubblica democratica popolare di Corea, non sfuggiranno al più grande disastro della storia».
Al lancio era presente Kim Jong-un, che avrebbe spronato scienziati e tecnici a «non sedersi sugli allori» e lavorare a ulteriori «armi nucleari e metodi di lancio» fino a che gli Usa «non facciano la scelta giusta».
Secondo l’agenzia nordcoreana, il missile avrebbe raggiunto una quota di oltre 2mila chilometri viaggiando per 787 chilometri prima di terminare la traiettoria in acque internazionali nel Mar del Giappone.
Il nuovo missile costituirebbe il secondo importante avanzamento nella tecnologia nordcoreana di quest’anno, dopo il lancio, a febbraio scorso, dei missili a medio raggio Pukguksong-2.
La Cina stessa, infastidita, avrebbe lasciato intendere di essere disposta ad avvallare nuove sanzioni: vedremo oggi il comportamento di Pechino, tenendo presente che – date le premesse degli ultimi giorni – potremmo essere di fronte alle ultime fasi di una negoziazione sotterranea per cominciare a discutere di quanto preme a Pechino: denuclearizzazione della penisola e ritiro del Thaad.
In un clima reso incandescente da questo evento nordcoreano, ieri si è conclusa la kermesse cinese di lancio e presentazione, per sommi capi, soprattutto con l’ausilio di numeri e potenziali sviluppi, della «One Belt One Road», nome troppo sino-centrico che l’ufficio di comunicazione di Pechino ha trasformato in un più internazionale «Belt and Road initiative».
Entusiasti Putin e altre leader da tempo vicini a Pechino, meno i paesi europei che avrebbero lasciato intendere di nutrire molti dubbi sul complessivo progetto.
Nella dichiarazione finale è stato fatto un generico riferimento alla lotta contro il protezionismo, ma tutto sommato Pechino si aspettava più calore da parte degli ospiti verso quello che ritiene essere il proprio approccio alla globalizzazione.
La Bri è infatti un insieme di snodi portuali e ferroviari, disegnati sulla doppia prospettiva dell’antica via della seta terrestre, quella mitica delle antiche carovaniere, del «grande gioco» e di Samarcanda, insieme a una nuova via marittima: il tutto per unire una rotta commerciale che partendo dalla Cina arriva in Europa, Africa e Medio oriente.
Pechino giura trattarsi di un progetto win-win: chi vuole entrare ne beneficerà. I più scettici lo vedono come un tentativo di egemonia cinese: governare il mondo attraverso gli snodi commerciali.
Probabilmente sono vere entrambe le cose: la Cina finanzia e investe moltissimi soldi, in alcuni casi ben sapendo di non guadagnarci, e favorendo soprattutto le economie in via di sviluppo.
Dall’altro lato prova a diventare guida globale, proponendo pace, prosperità, «destini comuni», come ama ripetere in ogni occasione il presidente Xi Jinping, ma riservandosi un controllo tanto sugli organi finanziari, quanto sul «business dei corridoi».