by Anna Maria Merlo, il manifesto | 11 Maggio 2017 9:46
PARIGI. Ultimo discorso pubblico di François Hollande, al Jardin du Luxembourg di fronte al monumento dedicato all’abolizione della schiavitù e a fianco di Emmanuel Macron, silenzioso. Il presidente uscente, che ha tenuto ieri l’ultimo consiglio dei ministri all’Eliseo, ha invitato il suo giovane successore a “continuare a battersi contro i discorsi che ci buttano gli uni contro gli altri”. Un pensiero per Manuel Valls? L’ex primo ministro, in queste ore, è diventato il simbolo della terra bruciata lasciata in eredità da Hollande tra i suoi. Nel 2012, il Ps aveva tutto in mano dopo l’elezione di Hollande: regioni, città, 285 seggi all’Assemblea. Oggi, Valls è sotto un duplice tiro incrociato: ha dichiarato, imprudente, la sua candidatura sotto la sigla Rem (la République en marche, il nuovo nome di quello che sarà il partito di Macron) ed è stato messo senza stati d’animo in lista d’attesa, solo oggi saprà se sarà candidato, ma già a Rem gli hanno fatto sapere che “la sua domanda di investitura non rientra nei criteri di accettazione” e che, comunque, Rem non è “un’impresa di riciclaggio”. E questa mossa, che non suscita nessun entusiasmo a Rem, è duplicata da una messa sotto accusa nel Ps: è in corso una procedura per l’esclusione e l’ex primo ministro dovrà passare di fronte alla commissione dei conflitti. I coltelli della vendetta si affilano, a Rem come nel Ps. Macron potrebbe far pagare a Valls il disprezzo che l’ex primo ministro gli ha dimostrato (lo chiamava “il microbo”), il Ps non gli ha mai perdonato la svolta autoritaria dopo gli attentati, la proposta della privazione di nazionalità per bi-nazionali condannati per terrorismo, e il ricorso al 49.3 (la fiducia rovesciata) per far passare l’impopolare Loi Travail. Inoltre Valls è accusato di aver “tradito”, perché dopo aver perso le primarie non ha mai sostenuto il vincitore, Benoît Hamon, che, del resto, ha entusiasmato pochi tra i dirigenti Ps (il programma per le legislative ha cancellato tutte le proposte dell’ex candidato, dal reddito universale alla tassa sui robot). Valls “non è en marche ma en marge” (ai margini) chiude il discorso Jean-Marie Le Guen, ex ministro.
Nel Ps c’è grande agitazione. Anne Hidalgo, Martine Aubry (sindache di Parigi e Lille), l’x ministra Christiane Taubira e altri che rappresentano un’ala sinistra del Ps, propongono la creazione di un nuovo movimento politico, Dès demain (da domani), umanista e pro-europeo perché “un altro avvenire è possibile”: “l’Europa e la Francia sono minacciate da un faccia a faccia tra coloro che difendono la deregulation e coloro che puntano sulla demagogia per rovesciare la situazione”. Anche Benoît Hamon ha il progetto di lanciare un “movimento transpartitico”, il prossimo luglio, che si rivolgerà a tutte le forze che si identificano con la sinistra (Mélenchon compreso). Ma né Hamon né i firmatari di Dès demain iscritti al Ps hanno l’intenzione di lasciare il partito. Anche Hollande avrà la sua fondazione La France s’engage, nel XIII arrondissement (non lontano dalla Biblioteca nazionale François Mitterrand), perché, ha detto ieri il presidente uscente “nessuno puo’ stare lontano dalla politica” e deve rispondere alla domanda: “come posso essere utile al mio paese?”. A questa domanda “io rispondero’ riflettendo, lavorando, producendo e intervenendo quando mi parrà utile”.
La confusione regna anche alla sinistra della sinistra. Ieri, Jean-Luc Mélenchon ha risposto secco al segretario del Pcf, Pierre Laurent: “mente”. La disputa è sull’accordo per le legislative, ormai più che in alto mare. France Insoumise presenterà propri candidati in tutte le 577 circoscrizioni, anche contro quelli del Pcf, che è costretto a fare altrettanto. Poche eccezioni: Marie-George Buffet, che è stata ministra Pcf ai tempi della “sinistra plurale”, Clementine Autain di Ensemble, Segio Coronado di Europa-Ecologia. Le liste di France Insoumise sono pronte, ha detto Mélenchon, i candidati hanno un’età media di 41 anni, il 63% sono “senza tessera”. Laurent cerca di rimettere assieme i cocci, per evitare che il Pcf resti senza seggi o quasi: “la posta in gioco alle legislative è lottare per una maggioranza contro Macron, non vogliamo che abbia le mani libere”. Mélenchon vuole pero’ il colpo di spugna. Sarà candidato a Marsiglia in un seggio a portata di vittoria (“la sua intenzione è la lotta sinistra contro sinistra” dice il deputato uscente Ps, Patrick Menucci). Puo’ essere una strategia suicida: la sinistra va al voto frammentata, France Insoumise, Pcf, Verdi, Ps. Al secondo turno, sono ammessi i due candidati arrivati in testa, più tutti quelli che hanno superato il 12,5% degli iscritti (se si conferma la forte astensione, significa che dovranno aver raccolto 17-18%). Una sinistra che parte estremamente divisa rischia di venire eliminata al primo turno, lasciando spazio a Rem e alla destra Lr.
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