Disabili e familiari manifestano: «Riconoscete il lavoro di cura»

by Mirco Viola, il manifesto | 11 Maggio 2017 9:31

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In piazza per chiedere il riconoscimento del loro lavoro: sono i familiari delle persone non autosufficienti (dai disabili agli anziani), la gran parte donne, che spesso devono sacrificare del tutto o in parte il proprio lavoro, mettendo a rischio la pensione e lo stesso equilibrio familiare. Una legge è in discussione alla Commissione Lavoro del Senato, e la richiesta è quella di approvare al più presto un quadro di tutele e – insieme – un piano di risorse adeguato al problema.

Risorse che, sottolineano le associazioni, non devono essere sottratte a quelle destinate ai parenti di cui i caregiver (termine inglese che indica questo delicato ruolo sociale) si occupano quotidianamente: bisogna stanziare fondi ad hoc, come ad esempio si è già fatto in Campania, regione che ha varato una prima legge sul tema, sostenuta da un fondo di 500 mila euro (un inizio, seppure non ancora sufficiente). Servono poi, oltre al welfare, accordi con le imprese.

Contemporaneamente alla manifestazione, in Senato si è tenuta una conferenza stampa dal titolo «Il ruolo dei caregiver tra diritti negati e silenzio dello Stato», promossa dai parlamentari Laura Bignami e Aldo Di Biagio, con il presidente della Commissione Lavoro, Maurizio Sacconi e la presidente del Coordinamento nazionale famiglie disabili, Simona Bellini.

Sacconi ha ribadito l’urgenza di «raggiungere un provvedimento di sostegno», che parta «dall’identificazione chiara della categoria dei caregiver anche per evitare che qualcuno si possa appropriare indebitamente dei riconoscimenti, e che rappresenti la premessa per interventi di sostegno da prevedere nella legge di stabilità con relativi oneri; vanno valutate disposizioni da inserire subito, come gli interventi sulla rimodulazione degli orari di lavoro e sui contributi figurativi dei caregiver».

Bellini, chiarendo che il caregiver «assiste il proprio caro con un’intensità insostenibile per tutta la vita», ha illustrato il percorso di ricorsi e pronunce in sede Onu, delle conquiste del diritto internazionale e di come tutto questo non trovi riscontro nell’ordinamento nazionale. La presidente del Coordinamento famiglie ha invitato a «non continuare a sovrapporre» il disabile con il familiare che se ne prende cura, sebbene si tratti di «pari» con esigenze diverse e di come sia illegittimo pensare di attingere dai fondi per la disabilità per dirottare risorse ai caregiver. La senatrice Bignami ha ribadito il carattere inderogabile della tutela del diritto alla salute e l’accesso al prepensionamento dei caregiver come priorità da inserire subito nella legge base, che non si limiti a mere definizioni ma comporti anche interventi di sostanza.

L’esempio campano può fare da apripista per una legge nazionale: la legge risale al 25 aprile scorso, e secondo Caterina Musella, presidente di Aima Campania (Associazione italiana malati di Alzheimer), «ha il merito di aver tolto il velo a persone fino ad oggi invisibili, i caregiver familiari, riconoscendone il lavoro di cura svolto quotidianamente tra le quattro mura domestiche, districandosi tra mille difficoltà, figli, genitori, lavoro, badanti, amici. Un lavoro di cura dai costi altissimi in termini economici, sociali, lavorativi, psicologici e affettivi che la legge, di certo non perfetta, almeno ha il merito di riconoscere».

Non esiste una quantificazione delle persone che si prendono cura dei propri familiari in Italia, spesso sostituendosi parzialmente o completamente allo Stato: sono compresi tra i tre e i sei milioni, l’assistenza può impegnare fino a 18 ore al giorno, comportando evidentemente disagi per l’attività lavorativa o la rinuncia a essa.

A sostegno dell’iter legislativo è in atto da diversi mesi la campagna #unaleggesubito alla quale hanno finora partecipato, con una propria foto a sostegno, oltre 6 mila cittadini italiani. A causa del vuoto legislativo italiano sulle tutele da riconoscere ai caregiver, sono già state avviate procedure internazionali presso la Commissione Ue – che ha concesso la procedura d’urgenza a una specifica petizione firmata da oltre 40 mila persone – e un ricorso presso l’Onu.

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