by Eleonora Martini, il manifesto | 11 Maggio 2017 8:52
ROMA. Era partita con la migliore delle intenzioni, la giunta pentastellata di Roma. Quando nel giugno 2016 Virginia Raggi si era insediata in Campidoglio aveva promesso, con un programma elettorale che le aveva fatto incassare più di 770 mila preferenze, «undici passi per portare a Roma il cambiamento di cui ha bisogno». Il sesto passo, riguardante le politiche sociali, «per ciò che concerne la gestione dei campi Rom» progettava di attuare «le misure già previste dalla Comunità Europea, come recepite dal Governo, relativamente al progressivo superamento dei campi stessi».
La questione della mancata inclusione delle popolazioni Rom è talmente antica e complessa – nella capitale come nel resto d’Italia e in gran parte d’Europa – che dieci mesi possono risultare un tempo troppo breve per assistere ad un cambiamento sostanziale. Ma il problema è che, viceversa, la via scelta dalla giunta Raggi sembra ricalcare esattamente quella intrapresa dalle precedenti amministrazioni.
«Il 21 novembre 2016 con una memoria di giunta era stato stabilito un cronoprogramma che partiva dalla costituzione di un tavolo istituzionale fino all’inaugurazione, entro il 31 marzo 2017, di un piano di inclusione e integrazione dei Rom», racconta Carlo Stasolla, presidente dell’Associazione 21 luglio che ogni anno stila un rapporto sui diritti calpestati di Rom, Sinti e Camminanti. Ebbene, «quel piano non è mai stato prodotto e quindi ad oggi si può dire che la giunta Raggi, dopo dieci mesi di insediamento, non ha fatto nulla. Se non esprimere la volontà di dare vita, attraverso un bando, a un nuovo campo a Roma nord, per 600 persone con una spesa di 1,5 milioni di euro».
Il bando, spiega Stasolla, era stato programmato dalla giunta precedente ed emanato l’8 luglio 2016, il giorno dopo l’insediamento di Raggi, ma a settembre la sindaca lo aveva congelato, per poi attivarlo di nuovo nel marzo scorso. «Ora speriamo di bloccarlo attraverso l’esposto che abbiamo presentato all’anticorruzione di Cantone, perché – precisa il presidente della 21 luglio – ci sono elementi che fanno ritenere che il bando sia stato costruito su misura dell’unico soggetto che poi si è effettivamente accreditato».
Un’altra baraccopoli che si andrebbe ad aggiungere ai 7 campi istituzionali – Lombroso (con 200 persone), Cadoni (820), Gordiani (160), Castel Romano (900), Salone (662), La Barbuta (550), e il camping privato River (480) – ai 13 «campi tollerati», e, aggiunge Stasolla, ai «tanti “campi informali” come quello andato a fuoco ieri notte, micro insediamenti spesso rappresentati da un solo camper o poco più, dove noi stimiamo vivano 2200-2500 persone». Nel frattempo, per ordine della magistratura che ha bloccato i contratti stipulati con le cooperative coinvolte in Mafia capitale, sono stati chiusi i due «centri di raccolta» di Via Salaria e Via Amarilli dove finivano le famiglie Rom sgomberate, senza però provvedere ad un ricollocamento abitativo adatto. Molti sono finiti in strada.
Anche Riccardo Magi, segretario di Radicali italiani, che da sempre si occupa di Rom, ricorda che «insieme alla 21 Luglio, A Buon Diritto, Arci e Possibile abbiamo portato in Assemblea Capitolina una delibera di iniziativa popolare per il superamento dei campi attraverso percorsi di inclusione, tra l’altro utilizzando i fondi che l’Europa destina a queste attività», ma «la cui discussione è stata rimandata».
Stasolla esprime ora un timore. «Il contesto attuale è molto simile a quello del 2011, quando nell’incendio scoppiato nella baraccopoli di Tor Fiscale morirono quattro bambini Rom, mentre si stava costruendo il campo della Barbuta. L’allora sindaco Alemanno utilizzò quell’occasione per promettere l’intensificazione degli sgomberi degli insediamenti informali. Non vorremmo che anche questa volta la reazione fosse la stessa, che si intensifichino le azioni di sgombero e si trovino nuove motivazioni per costruire altri campi con la scusa di mettere le persone in sicurezza».
Perché, indipendentemente dal tipo di odio che ha armato ieri la mano degli assassini delle tre ragazze Rom, come dice Magi, se non si affronta «la marginalità a cui sono costretti a vivere», «la situazione che abbiamo davanti agli occhi resterà drammaticamente immutata: comprese le ondate di sdegno popolare, che non di rado vengono alimentate e poi cavalcate per ragioni meschine legate al consenso, e che invece dovrebbero essere ricomposte assumendosi la responsabilità di governare il fenomeno».
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