by Giuliano Santoro, il manifesto | 11 Maggio 2017 8:46
ROMA.In cima a una scala mobile, sul tetto del fabbricato, c’è un parcheggio. Qui saltuariamente attraccava il camper della famiglia Halilovic, rom di nazionalità bosniaca. Ed è sempre qui, in questa terrazza di asfalto che affaccia sul quadrante tra via Prenestina e Casilina, che le fiamme sono divampate alle prime ore di ieri, tra le 3 e le 4. Dentro al veicolo si trovavano undici persone.
In tre non sono riuscite a fuggire e sono morte sul colpo: sono la ventenne Elisabeth e le sorelline Francesca e Angelica, di 8 e 4 anni. La scala mobile è quella del centro commerciale Primavera. È una specie di varco postmoderno tra due luoghi del Novecento romano.
I gradini semoventi seguono curiosamente la linea discendente che tracciano i palazzoni del Casilino 23, disegnati negli anni Sessanta dal maestro Ludovico Quaroni. Da qui affondano dentro il cemento, passano in mezzo a supermercati e negozi in franchising e infine conducono ad una porta a vetri scorrevole che sbuca in un altro pezzo di mondo.
È il sobborgo di Roma sud-est, dove assieme al Forte Prenestino, il centro sociale occupato più vecchio di Roma e più grande d’Europa, tra mille contraddizioni prosperano aperitivi vegani, tacos take away e spritz a buon mercato.
La casa itinerante degli Halilovic non staziona qui in modo permanente. Probabilmente la famiglia va e viene, per non dare nell’occhio e per non essere cacciata dalla vigilanza del centro commerciale. Pare proprio che dal furgone attrezzato avessero gettato gli ormeggi poche ore prima della strage. Virginia Raggi arriva verso le 10 del mattino. I curiosi, non tanti, scuotono la testa di fronte alle lamiere fumanti. «La morte di una ragazza e di due bambine è un dolore per tutta la città», dice la sindaca. Una signora ripete il mantra del razzismo medio, quello che circola nei preserali in diretta dal paese che odia: «Ormai sono troppi…». Ma viene smentita da un anziano di passaggio: «Se non sai cos’è la fame non ti permettere di giudicare questa gente».
Le panchine in mezzo al verde, ad abbellire il parcheggio del rogo, sono da qualche tempo luogo di ritrovo di comitive di giovanissimi, tra di loro c’è qualcuno suggestionato dai simboli dell’estrema destra. Ma nessuno pensa veramente che qui siano capaci di tanto. Le prime ore lasciano spazio a qualche indiscrezione proveniente dai vigili del fuoco: «Quando le fiamme divampano così velocemente è difficile pensare all’evento colposo», profetizzano ufficiosamente basandosi sulla loro esperienza.
Poi arriva, avvolta nel silenzio sotto il sole, la macchina della polizia scientifica. Il trolley dell’attrezzatura tecnica che scivola sulla strada precede la prima ammissione: c’è del liquido attorno al rudere del veicolo e quel che ne rimane letteralmente viene portato via raccogliendo la cenere con la paletta. È un attentato. Una cosa che pare troppo grande a anche per Centocelle, per la sua gente che ne ha viste tante e che mostra la pazienza stoica dei quartieri popolari.
Qualcuno adesso dice che sì, già una roulotte era stata incendiata qualche settimane fa. E pare che il capofamiglia, Romano Halilovic, avesse litigato con parte della comunità che risiede tra il campo di Salviati e quello de La Barbuta, che fosse stato allontanato dagli insediamenti attrezzati. Il campo più vicino è quello di via dei Gordiani, dove vivono alcuni parenti di Romano e da dove non si esita a dire di non avere nessun contatto recente con gli Halilovic.
Lui viene descritto con un certo timore come un omone, personaggio che si è fatto molti nemici e non avrebbe una storia limpidissima. La rivelazione successiva è, se possibile, ancora più agghiacciante: c’è una scena ripresa dalle telecamere del centro commerciale, si vede una bottiglia incendiaria che colpisce la parte anteriore del camper. La Procura di Roma procede per i reati di incendio doloso e omicidio volontario, al momento contro ignoti.
Tutta la politica, fino al Quirinale, chiede che venga fatta chiarezza e giustizia. Papa Bergoglio manda un cenno di solidarietà con le vittime.
Le associazioni, dalla Caritas alla Croce rossa fino ad Amnesty International, sottolineano come questa strage, comunque la si voglia vedere, è figlia del vuoto di diritti e dell’abbandono di pezzi di popolazione. I campi rom regolari a Roma sono sette, ma proprio la mancanza di politiche di integrazione favorisce la nascita di baraccopoli spontanee e temporanee.
In serata il Pd locale consegna una corona di fiori, mentre un gruppo di femministe del quartiere convoca proprio in viale della Primavera un presidio di solidarietà e protesta.
Nelle immagini, fanno sapere dalla procura, si vede un uomo che lancia un ordigno artigianale, per di più il killer agisce a volto scoperto, in un luogo notoriamente tenuto sotto l’occhio di teleobiettivi della sorveglianza del centro commerciale.
Il gesto di un balordo, il salto di qualità di un movimento razzista o una faida tra clan o qualche conto da regolare con uno sgarbo finito in tragedia?
Nel pomeriggio di questa calda giornata, la scala mobile che collega tra mondi di Centocelle conduce ad un altro varco: il parcheggio del rogo diventa una piazza, un luogo di incontro per centinaia di cittadini solidali e militanti antirazzisti.
È il momento della discussione collettiva e dello scambio di informazioni, ci si chiede con sgomento come si sia potuto arrivare così in basso. Più di una persona punta il dito contro le ricette dell’odio che circolano ogni sera in televisione: «I rom sempre al centro dell’attenzione, capri espiatori e nemici pubblici da combattere». Dalla questura fanno sapere: «Il movente non è razziale». Lo striscione bianco, scritto al volo e appeso sulle ringhiere del parcheggio di via Guattari dice con semplicità quello che pensano in tanti: «Sono morti del quartiere».
SEGUI SUL MANIFESTO[1]
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2017/05/92186/
Copyright ©2024 Diritti Globali unless otherwise noted.