by Eleonora Martini, il manifesto | 10 Maggio 2017 9:26
Tre minuti. Tanto è durata la sessione di lavori del Senato dedicata alla legge che introduce il reato di tortura, dopo uno stand by di dieci mesi. Giusto il tempo, per il presidente di turno Maurizio Gasparri, di annunciare i due emendamenti presentati dai relatori, in ritrovata sintonia, – il socialista Enrico Buemi e Nico D’Ascola di Ap – e aggiungere: «Il termine per la presentazione dei subemendamenti è previsto per le 19 di giovedì 11 maggio, pertanto il seguito dell’esame del provvedimento è rinviato ad altra seduta». Data da destinarsi. In teoria forse anche la settimana prossima, ma il M5S denuncia la «volontà politica» di affossare il ddl.
La «mediazione» tra i partiti di governo e con i principali avversari della nuova fattispecie di reato – i sindacati delle forze dell’ordine – ha prodotto i due emendamenti all’articolo 1 che fanno rientrare dalla porta ciò che era stato buttato dalla finestra.
Se a luglio tutto si era bloccato dopo che dal testo era sparito il requisito della «reiterazione delle violenze e delle minacce gravi» nella fattispecie di reato, ora il primo dei due emendamenti «di mediazione», come li ha etichettati lo stesso Buemi, prevede che «il fatto» debba essere «commesso mediante più condotte». Il secondo emendamento, che Buemi definisce «più politico», esclude invece il reato nel caso di «sofferenze risultanti unicamente dall’esecuzione di legittime misure privative o limitative dei diritti». L’intenzione è difendere l’uso legittimo della forza a seguito di un ordine impartito. In sostanza, come spiega il relatore, di mettere al riparo l’eventuale «agente (che) rompe il braccio ad uno mentre lo arresta». Azione che «non si può far rientrare nella tortura».
«Siamo di fronte ad un’innovazione vera», esulta la presidente dei senatori di Mdp Cecilia Guerra, considerando i due emendamenti come il giusto compromesso tra i desiderata delle forze di polizia e il dettato Onu.
Di tutt’altro avviso invece Amnesty International Italia e Antigone i cui presidenti si augurano che la nuova interruzione dell’iter sia breve e soprattutto «dia modo di migliorare il testo, rendendolo il più vicino possibile alla Convenzione Onu».
E anche il sottosegretario alla Giustizia Gennaro Migliore, che ricorda bene le torture inflitte durante il G8 di Genova, smentisce che l’accordo di maggioranza sia definitivo: «Non mi risulta. La discussione è ancora in atto».
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