Svezia. Camion sulla folla a Stoccolma, preso l’attentatore

Svezia. Camion sulla folla a Stoccolma, preso l’attentatore

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Deserte le strade dello shopping, cinema, teatri e locali chiusi, la stazione centrale evacuata, nessun autobus o metro, musei e uffici sigillati con il nastro giallo e presidiati dalla polizia. Dopo il panico del primo pomeriggio lungo la Drottninggatan, la centralissima via della Regina dove ieri poco prima delle tre del pomeriggio un camion è stato lanciato contro un centro commerciale facendo quattro morti e 15 feriti, Stoccolma si è svuotata.

«Non venite in centro, evitate luoghi di assembramento», questo era del resto il consiglio della polizia svedese ancora alla ricerca di tracce dell’attentatore. I sospetti si sono concentrati su un uomo barbuto, con cappuccio nero e giacca verde, ritratto in foto nei pressi del luogo dell’attentato mentre parla con fare cospiratorio ad un cellulare. Arrestato in serata ferito in periferia avrebbe rivendicato l’assalto.

Erano le 14, 53 quando la polizia è stata allertata da una chiamata: un grosso camion aveva appena centrato in pieno il grande magazzino Åhléns City, lasciando dietro di sé una scia di sangue, fumo e sgomento.

Le foto e i video ripresi con i telefonini e postati poi dai siti, mostrano l’autocarro blu con il portellone posteriore semi aperto incastrato sotto il porticato del Mall all’angolo con la Drottninggatan, sporco della polvere degli estintori che hanno spento le fiamme innescate dall’impatto.

Il proprietario della ditta Spendrups, Mårten Lyth, intervistato dal sito di Aftonbladet ha raccontato che il suo dipendente stava facendo una consegna poco distante da lì, al ristorante «Caliente», quando qualcuno è saltato nella cabina di guida impossessandosi del volante. Il camionista ha cercato di intercettarlo ma è stato colpito, in modo non grave, ed è rimasto a terra mentre il veicolo veniva lanciato come un proiettile contro la folla, superando anche auto della polizia.

Il premier svedese, il conservatore Stefan Löfven, parlando ai microfoni ha sentenziato senza ombra di dubbio già poche decine di minuti dal fatto: «La Svezia è sotto attacco. Tutto indica che si sia trattato di un atto terroristico», quindi si è chiuso in una riunione d’emergenza con i ministri.

Si è così avverata, curiosamente e tragicamente, la predizione di Donald Trump. Ancora fresco di insediamento come presidente degli Stati Uniti, in un comizio a Melbourne il 18 febbraio scorso, aveva espresso la sua solidarietà con due mesi di anticipo alla Svezia per un attacco terroristico di cui all’epoca non si era vista traccia. Sbugiardato si era difeso del misunderstanding chiamando in causa una storia trasmessa dalla Fox sugli immigrati in Svezia.

«Vedete quello che sta succedendo in Germania, guardate quello che è successo la notte scorsa in Svezia. In Svezia, chi può crederci?», aveva detto per suffragare la linea dura contro l’immigrazione dai paesi arabi a per «la sicurezza degli americani». A due mesi di distanza, con quello che è successo ieri a Stoccolma, quel riferimento alla Svezia come teatro di un massacro ancora non compiuto, fa venire i brividi.

La Svezia, insieme alla Germania, è stata in prima fila in Europa nell’accoglienza ai profughi della guerra in Siria e in Iraq: ha aperto le frontiere a oltre 200mila tra il 2015 e il 2016. Così commentatori e esperti di terrorismo intervistati dai media svedesi ora è facile dire che «era solo questione di tempo, una facile profezia», di fronte a 300 foreign fighter con passaporto svedese andati a combattere nelle file dell’Isis e forse ora di ritorno.

Aveva invece passaporto belga l’iracheno Taimour Abdulwahab che a Natale del 2010 si fece esplodere, senza fare altre vittime, a 700 metri di distanza dal camion di ieri, a Stoccolma, portando con sé, oltre ai suoi risentimenti, i contatti tra i quali i servizi Sapo, in netto ritardo, cercano ora legami con l’attentatore del camion-bomba.

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