by Francesco Battistini, Corriere della Sera | 10 Aprile 2017 9:41
IL CAIRO «Ho sollevato voi su ali di martiri…». Sta cantando il coro. La messa è appena iniziata, a Tanta la chiesa di San Giorgio è stracolma. Le palme della domenica, simbolo del martirio che verrà. La mozzetta rossa del celebrante, presagio del sangue che scorrerà. Nessuno nota il kamikaze nei banchi davanti, e anche dopo ce ne vorrà per identificarlo dalla testa mozzata. La prima esplosione intorno alle 10: «Fortissima — dice alla tv egiziana una donna scampata —. Il fuoco e il fumo hanno riempito le navate, a terra gridavano feriti molto gravi. Sangue dappertutto. Ho visto budella di gente colpita e gambe staccate dai corpi». I tg non fanno neanche in tempo a interrompere le trasmissioni, dare i 29 morti e l’ottantina di feriti dal Delta del Nilo, ed ecco il secondo suicida ad Alessandria. Punta al bersaglio grosso, stavolta: Tawadros, Teodoro II, il centodiciottesimo patriarca di tutti i Copti d’Egitto, che per l’ultima domenica di quaresima sta celebrando in San Marco. L’uomo che fra venti giorni accoglierà Bergoglio al Cairo, una visita che sta già sconvolgendo gli islamici duri.
Il kamikaze nervosoIl suicida è nervoso, si fa notare, alla fine non ce la fa: un video di sorveglianza lo mostra mentre s’avvicina al controllo, felpa blu, i poliziotti che lo bloccano e lo mandano al metal detector, l’uomo che s’accosta a una donna in divisa e poi a un’altra, quindi passa sotto la macchina del controllo elettronico. È allora che si fa saltare, lì davanti al sagrato, portando con sé tre agenti e 14 cristiani, 78 i feriti. Il colpo è forte, dentro la chiesa papa Teodoro s’interrompe, le guardie prendono il prelato e lo trascinano di corsa nella canonica: «Restiamo uniti, non ci faremo intimidire», ha appena il tempo di dichiarare.
La rivendicazione«Due nostri gruppi hanno colpito gli infedeli», fa sapere l’Isis attraverso una delle agenzie, Amaq , che usa per rivendicare. Ci avevano già provato l’anno scorso, proprio ad Alessandria era stato bloccato un gruppo che progettava l’attentato: «Così vicini però — dice ora la polizia — non erano mai arrivati». È subito emergenza nazionale. La rabbia si sente poche ore dopo, nelle strade di Tanta, i cristiani che accusano gli scarsi controlli, l’abbandono. Al Sisi proclama tre giorni di lutto e tre mesi di stato di emergenza, dimissiona i capi della polizia locale, poi convoca il consiglio per la difesa e dispiega i corpi speciali in tutte le grandi città. L’ultima volta l’aveva fatto per i cinque anni di piazza Tahrir e fu un incubo: i giorni dell’uccisione di Giulio Regeni. «Oltraggio che ha per obbiettivo tanto i copti quanto i musulmani», accusa il presidente, riferendosi al ritrovamento di due bombe inesplose in una moschea di Tanta.
La visita di BergoglioLa gravità dell’attacco si legge nelle condanne di sauditi, qatarini, turchi, emiratini, di solito asciutti se si tratta di cristiani ammazzati. Anche lo sceicco dell’università Al Azhar, Mohammed al Tayyib, il grande imam sunnita che ha invitato Bergoglio al Cairo, punta il dito sull’Islam deviato che uccide gli innocenti. «Sono sicuro che Al Sisi saprà affrontare la situazione», dice Donald Trump, che solo una settimana fa aveva ricevuto il generale del Cairo ostentando quella stretta di mano negata alla Merkel. Saranno tre settimane di coprifuoco: Bergoglio non è il primo Papa atteso in Egitto, ma quando venne Wojtyla era prima dell’11 settembre, un’altra epoca, e da giorni al Cairo sono comparsi controlli molto più stretti. L’Isis avverte che non è finita qui, altre stragi seguiranno.
Quell’amicizia con i raìsDacci oggi il nostro morto quotidiano. «Ce l’aspettavamo», ci dice l’abuna Kuzman, vescovo scappato dal Sinai al Cairo: «C’è stata una escalation negli ultimi mesi, a dicembre la strage nella cattedrale di San Marco, i 30 uccisi sono stati il segnale che ricominciavano gli attacchi. Però pensavamo di essere più protetti dal governo». Al Sisi non manca mai a una messa natalizia, promette la ricostruzione delle chiese, una volta ha perfino riconosciuto che l’Egitto ospita l’unica chiesa nazionale del Nord Africa, nove milioni di fedeli, il 10 per cento della popolazione, una delle comunità religiose più antiche del mondo. Basta? No. Orafi, impiegati, farmacisti: i cristiani egiziani vantano anche illustri cognomi, dal Boutros Ghali che fu segretario generale dell’Onu al miliardario Sawiris padrone di Orascom, ma scontano l’amicizia troppo stretta coi rais, Mubarak un tempo e Al Sisi oggi.
La paura della comunitàCelebrare questa Pasqua di sangue, sarà qualcosa che somiglia al martirio. Non che non si sappia: alle chiese del Cairo si consiglia sempre di non suonare le campane e il prossimo venerdì santo, per non turbare i muezzin, molte funzioni si faranno in un’ora che non coincida con la preghiera musulmana. Vietato aspettare i fedeli all’ingresso, come si faceva una volta, niente fiori o immaginette, e pure i manifesti per l’arrivo di Francesco si tengono rigorosamente dentro le chiese, nessuno s’azzarda a esporli. In certi villaggi di Minya, area piena di salafiti, la messa si celebra con una croce disegnata sul muro, facile da cancellare. Anche Gesù nacque profugo, irrise una volta lo sciita iracheno Moqtada Al Sadr, guardando i cristiani che scappavano: dal Sinai, è un esodo inarrestabile, solo a febbraio sono arrivate a Suez e al Cairo un centinaio di famiglie. Le cronache settimanali raccontano di commercianti bruciati vivi, vecchie denudate sulla strada, ragazzini puniti per qualche video sul telefonino. Ci vuol poco a diventare blasfemi, nell’Egitto che aspetta il Papa. La chiesa dedicata ai Martiri della Sirte, i venticinque copti sgozzati in un terribile video che per primo minacciò la marcia su Roma delle bandiere nere, quella chiesa è ferma: nessuno osa raccogliere il milione d’euro che serve a costruirla. Padre Kuzman anche ieri ha recitato la sua omelia, che finisce sempre allo stesso modo: «Questa è la terra dell’Esodo e dei Profeti, dell’Alleanza e dei Dieci comandamenti. Noi cristiani non possiamo andarcene».
Francesco Battistini
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