by Marina Catucci, il manifesto | 21 Aprile 2017 13:10
NEW YORK. Il primo incontro tra Paolo Gentiloni e Donald Trump ha implementato una nuova formalità in vista del vertice del G7 di Taormina, sotto la presidenza italiana a fine maggio. Mentre scriviamo l’annunciata conferenza stampa – troppo tardi per noi – non è ancora cominciata.
Ma sappiamo che nell’incontro si sono confrontati su Isis, Libia, Iraq, Ucraina e Turchia, tenendo sullo sfondo le tensioni in Siria, Iran e Corea del Nord. Anticipazioni sull’incontro sono state date da Gentiloni nell’intervento al Center for Strategic and International studies, prestigioso centro di analisi politica di Washington.
Sulla Libia Gentiloni si è indirettamente riferito alla Russia e anche di più all’Egitto – Al Sisi è stato da poco calorosamente ricevuto da Trump – quando il premier ha parlato di «preoccupazione che altre potenze la usino per dividerla, per motivi di confronto e supremazia, mentre il Paese deve restare unito».
Riguardo la crisi siriana il premier italiano ha affermato che «non esiste una soluzione militare ma solo negoziale, Assad non può essere il futuro del Paese e la Russia deve avere un ruolo costruttivo. Isolare la Russia non è produttivo, non solo in riferimento a questo governo ma in generale, anche a livello storico».
Come reagirà il muscolare Trump? Siamo infatti di fronte ad un grazioso minuetto, dove nessuno pesta i piedi all’altro in quanto l’Italia non cerca sicuramente lo scontro, ma è difficile pensare ad un incontro meno plausibile di quello tra l’ex presentatore di reality Donald Trump e il «conte» Paolo Gentiloni. Che, certo non ha sollevato a Trump il peso delle 70 atomiche Usa – ora ammodernate – che restano nelle basi italiane.
Sono poi presenti temi sensibili come quello dei migranti, che Trump affronta cercando di costruire muri per tener fuori una folla scatenata che esiste solo nella sua narrativa, ed ha una politica anti-immigrante, mentre l’Italia cerca aiuto per una reale crisi umanitaria in corso nel Mediterraneo; c’è il tema non del tutto risolto con la Nato che, pur non essendo più un’istituzione obsoleta, come ha ammesso alla fine Trump, dovrebbe comunque, per il presidente americano, vedere la collaborazione economica dei Paesi alleati, a cominciare dall’Italia, molto di più di quanto non abbia fatto finora.
Altro tema delicato i rapporti commerciali, dove il premier italiano naviga con cautela visto che il tema recente dei dazi, dello scambio commerciale più o meno libero, va oltre la questione di Vespa e San Pellegrino, tenendo conto che un sistema mondiale di commercio libero e di scambi multilaterali è un beneficio per l’Italia, mentre l’idea isolazionista di Trump porta in tutt’altra direzione.
Un incontro, quindi, necessario in quanto i due Paesi non potevano incontrarsi per la prima volta al G7 di Taormina, con tutti quei convitati di pietra presenti, ma il cui esito non è già scritto, come ci si era abituati con gli incontri tra Renzi ed Obama. Siamo infatti al gioco di non detti e strategiche obliquità da una parte per arginare la torrenzialità pressoché inarginabile dell’altra.
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