by Susanna Ronconi, il manifesto | 26 Aprile 2017 10:33
Sarà a breve presentata al Parlamento Europeo la Dichiarazione di Varsavia del 2016 sul ruolo delle città nella politica delle droghe e di riduzione del danno.
Come già nel 1990 a Francoforte, ma oggi con tutto il peso di venticinque anni di evidenze, la Dichiarazione di Varsavia insiste su pragmatismo, salute pubblica, mediazione sociale, e invita a ridimensionare le politiche di ordine pubblico, che non debbono ostacolare o sovradeterminare quelle sociali.
I punti forza sono gli interventi di Riduzione del danno (Rdd) a favore dei consumatori, che hanno ricadute a favore di tutti i cittadini (un sistema di servizi a bassa soglia integrato nel welfare locale, interventi nei luoghi del loisir, politiche di inclusione e de-stigmatizzazione), con la partecipazione di tutti gli attori attorno a un tavolo capace di rappresentarne e mediarne gli interessi.
La città è il luogo dove le politiche sulle droghe non possono permettersi la retorica, dove il governo del fenomeno si misura con cambiamenti, problemi e bisogni, e si mette alla prova la capacità delle istituzioni locali di gestirli.
Non è un caso che fin dagli anni ottanta, in Europa, sono le città ad aver innovato le politiche: lì è nata la riduzione del danno, perché in essa molti sindaci hanno trovato una politica di mediazione sociale e di salute pubblica, ben più capace dell’approccio law&order di tenere basso l’impatto di rischi e danni correlati.
È questa consapevolezza che porta ciclicamente società civile e municipalità europee a promuovere il ruolo delle città e a farlo “dal basso”, con taglio pragmatico: 1990, Conferenza di Francoforte, prima formale adozione della Rdd come approccio delle città; 1990-2000, network European Cities on Drug Policy; 2005- 2011, Democracy, Cities and Drugs; 2010-2017 European Urban Drug Policies, con le Dichiarazioni di Praga nel 2010 e di Varsavia nel 2016.
Gli esempi concreti di città come Francoforte, Zurigo, Lisbona, Amsterdam e Vancouver forniscono tutte le evidenze necessarie.
E l’Italia? Nel 2005 il Forum Sicurezza Urbana (Fisu), commissionò uno studio sulle strategie delle città europee[1], curato da chi scrive, in cui di queste evidenze si rendeva conto. È rimasto in un cassetto.
L’assenza delle nostre città da questo confronto, già dal 1990 e più ancora oggi, è eclatante. E anche la loro delega a politiche nazionali che poco sembrano sapere di come vanno davvero le cose e continuano nella logica securitaria, che i problemi li crea invece che gestirli.
Ma i sindaci lo sanno, come vanno le cose: pensiamo alle movide urbane, alle piccole o grandi scene aperte del consumo. Davvero pensano che il decreto Minniti e il Daspo contro i piccoli spacciatori sia la soluzione?
Davvero puntare sulla repressione di pesci piccoli e consumatori sembra loro la migliore delle politiche locali? La carta di Varsavia ci ricorda che è possibile uscire dalla delega impotente a politiche nazionali che hanno, da decenni, dimostrato il proprio insuccesso, e trovare l’orgoglio della sperimentazione e dell’autonomia.
Per governare un fenomeno che – stando alle stime sui consumi – tocca il 25% dei loro cittadini, i sindaci hanno già da ora un’agenda potenziale che si avvale di 25 anni di esperienza: dal «sindaco della notte» per la mediazione sociale attorno alle movide, alle «stanze del consumo»per le scene aperte, da agenzie locali aperte a tutti gli attori, alla valorizzazione dell’alleanza con i consumatori, da un welfare inclusivo per abbassare i costi sociali, alla drug education mirata a tutta la società.
Solo per cominciare.
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