by Simone Pieranni, il manifesto | 26 Aprile 2017 10:26
Si temeva il peggio nella giornata di ieri, 25 aprile, 85° anniversario della nascita dell’esercito coreano. Pyongyang di solito per i suoi gesti più provocatori ha fatto largo uso di date simboliche: il quinto e ultimo test nucleare venne effettuato il 9 settembre, giorno in cui si celebra la fondazione dello stato coreano.
Ieri però Kim Jong-un si è limitato a recarsi nella parte orientale del paese, nei pressi di Wonsan, per assistere a esercitazioni di artiglieria con proiettili da combattimento e uso di cannoni a lunga gittata.
E DOPO QUESTA MINIMA dimostrazione di forza, almeno rispetto a quanto ci si attendeva, Pyongyang è tornata a minacciare gli Usa e i suoi alleati. «Se gli Stati uniti e i bellicisti si lanceranno a realizzare un imprudente attacco preventivo, condurremo il più brutale dei castighi», ha scritto il quotidiano ufficiale nordcoreano Rodong Sinmun, in riferimento alle tensioni nella regione. «Non c’è limite al potere di attacco dell’esercito del popolo armato con il nostro stile di equipaggiamenti militari all’avanguardia e armi nucleari miniaturizzate e missili balistici lanciati da sommergibili», ha specificato il giornale. Questo atteggiamento, violento nei toni, ma limitato nelle azioni, potrebbe essere significativo di manovre sotto traccia condotte dalla Cina e tese a riportare la situazione all’interno di logiche diplomatiche.
IN FONDO KIM JONG-UN ha dimostrato di sapere usare lo spauracchio nucleare in modo astuto e razionale (al contrario di chi ritiene che sia una sorta di pazzo, irrazionale e che non agisca secondo un piano ben definito) alla ricerca di una sopravvivenza che gli consenta di continuare a dominare il suo paese, garantendo continuità alla propria dinastia; per questo il mancato «colpo di scena» di ieri, salvo smentite di giornata, potrebbe essere letto come un segnale positivo: la forza che la Cina pare aver messo nelle minacce di un proprio mancato appoggio a Pyongyang, sembra cominciare a raccogliere qualche frutto.
Un altro segnale al riguardo parrebbe arrivare dalla Cina stessa: ieri non ci sono state dichiarazioni dure di Pechino – anzi il China Daily ha ricordato a Kim che in ballo c’è il nucleare, non la sua leadership – ed è arrivata l’ufficializzazione della ripresa dei voli, sospesi proprio nel momento di maggior tensione della crisi, dalla capitale cinese a quella coreana. Lo ha reso noto la stessa compagnia aerea cinese, l’Air China, unica ad effettuare voli a Pyongyang dal 2008. I voli riprenderanno a partire dal 5 maggio prossimo, dopo la sospensione cominciata ufficialmente il 17 aprile scorso. Air China garantirà due voli settimanali, anziché tre come in precedenza, diretti in Corea del Nord.
TRUMP E I SUOI ALLEATI nell’area, però, con le loro recenti mosse non paiono aiutare granché il clima che Pechino sta cercando di creare; Usa, Giappone e Corea hanno scelto un atteggiamento molto minaccioso nei confronti della Corea, ponendosi sul livello voluto da Kim Jong-un.
Ieri infatti Trump ha ordinato l’arrivo nelle acque coreane del sottomarino a trazione nucleare Uss Michigan, dotato di 154 missili Tomahawk, insieme a una insolita convocazione dei senatori alla Casa bianca, prevista per oggi, con lo scopo di aggiornarli sulla questione nord coreana. Il sottomarino è arrivato nella città portuale sud coreana di Busan, a dimostrazione della compattezza dell’alleanza di Washington con Seul e non per esercitazioni, secondo quanto riportato dalla stampa coreana.
UN SOTTOMARINO che i cinesi conoscono bene: costruito nel 1983 e usato da Reagan come deterrente anti sovietico, già protagonista di numerosi pattugliamenti di acque internazionali, il Michigan venne usato dagli Stati uniti come dimostrazione di forza nei confronti di Pechino a seguito di un test nucleare cinese avvenuto nel nel 2010. All’epoca gli Usa irritati ne schierarono addirittura tre: il Michigan, il Florida e l’Ohio emersero nella acque della Corea del Sud, delle Filippine e dell’Oceano Indiano per dare una dimostrazione di determinazione a Pechino.
Ieri a Tokyo le tre nazioni alleate dell’area si sono incontrate, ribadendo l’impegno a concordare le azioni da mettere in campo e sottolineando la necessità di «massimizzare la pressione» su Kim Jong-un. A Pyongyang viene chiesto di «porre fine alle provocazioni strategiche» promettendo «l’adozione di decise azioni punitive che la Corea del Nord non sarà in grado di sostenere se prosegue sulla strada delle provocazioni».
A MARGINE DELL’INCONTRO si è rivelato particolarmente attivo il Giappone (alcuni suoi inviati saranno presenti al grande evento di lancio della nuova via della Seta previsto a Pechino il 13 maggio): il ministro degli esteri Fumio Kishida ha annunciato che Wu Dawei, rappresentante speciale della Cina per la penisola coreana, è arrivato in Giappone per colloqui.
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