by Guido Caldiron, il manifesto | 19 Aprile 2017 9:37
Per una sorta di drammatico paradosso c’è voluta la sua sortita di sapore negazionista sulla Francia «non responsabile» della rafle du Vél’d’Hiv, il rastrellamento compiuto nel 1942 a Parigi di oltre tredicimila ebrei poi deportati ad Auschwitz, subito seguita dall’attacco a Papa Francesco sul tema dei migranti, per segnalare che Marine Le Pen è da alcuni mesi, più o meno stabilmente, in testa nelle intenzioni di voto dei francesi, in vista delle presidenziali del 23 aprile.
Quasi a voler esorcizzare i rischi insiti in una tale situazione, vale a dire la più che probabile presenza della leader del Front National al ballottaggio per la corsa all’Eliseo, in molti, tra gli osservatori d’oltralpe si sono rifugiati in una sorta di lettura consolatoria che oscilla tra quello che il politologo Pierre-André Taguieff ha definito nel suo Du diable en politique (Cnrs Editions, 2014) come «l’antilepenismo ordinario», per cui basterebbe l’evocazione del «pericolo fascista» per respingerne l’offensiva, e una inquietante sottovalutazione delle trasformazioni conosciute da questo partito, specie nella percezione dei francesi, da quando, nel 2011, ne ha assunto la guida Marine Le Pen. Questo, per non citare il crescente radicamento sociale e territoriale del Fn, primo partito in molte regioni del paese e forza politica più votata dagli operai, dai giovani, dalle persone con un basso livello di istruzione e da quanti vivono lontano dalle metropoli.
PROPRIO L’EMERGENZA resa palese da questa vigilia elettorale, rende perciò al contrario quanto più necessaria e urgente una indagine approfondita sui contorni assunti dal fenomeno. Un’opinione condivisa dallo storico Grégoire Kauffmann che in Le nouveau Fn (Seuil, pp. 112, euro 11,80), sottolinea come la portata di quanto è avvenuto di recente all’interno dell’estrema destra non possa essere trascurata. «Per molti commentatori, la sostituzione di Jean-Marie Le Pen con sua figlia Marine si riassume in un conflitto famigliare o nel semplice tentativo di operare uno scarto rispetto al processo di demonizzazione», spiega Kauffmann che sottolinea come invece «non si sia trattato solo di un cambiamento generazionale, con l’adozione di uno stile più ’sereno’ e ’mediatico’, ma di una completa ridefinizione strategica del partito».
Un’operazione che, a detta dello studioso, si è compiuta attraverso due assi principali. Da un lato l’abbandono della tradizionale linea antimoderna e antirepubblicana, ma iper-liberista in materia sociale, che fin dalla sua nascita all’inizio degli anni Settanta come coalizione di gruppi neofascisti aveva guidato l’orizzonte del Fn.
Il tutto, a favore di «un ritrovato nazionalismo dagli accenti sempre più sociali» che per Kauffmann sembra recuperare il repertorio «all’insegna del ’ni droite, ni gauche’, dell’anticapitalismo nazionale del XIX secolo» che in Francia mise insieme socialisti anti-marxisti, bonapartisti e nazionalisti di destra.
DALL’ALTRO, ACCANTONATO per questa via, sebbene in modo evidentemente sommario, il proprio problema di fondo con i valori della République, e con la storia francese che conduce a Vichy, il Front National si è riposizionato sulla scena pubblica cercando di imporre una nuova polarizzazione della politica attraverso la contrapposizione tra «i patrioti» e «i mondialisti», la difesa di una laicità brandita come un’arma e «la minaccia dell’islamizzazione della Francia», «i francesi medi», per non dire «i piccoli bianchi», «il paese profondo» e i rappresentanti della «tecnocrazia internazionale e della burocrazia sovietica di Bruxelles», i «nostri connazionali che non vogliono rinunciare al loro stile di vita» e le «bande comunitarie», vale a dire gli immigrati, che «scorrazzano nelle banlieue».
Il tutto riassunto nella promessa di una «preferenza nazionale» e di un «patriottismo economico» che sembra parlare soprattutto a quanti, sconfitti e impoveriti nel ciclo lungo della crisi e dei processi di ristrutturazione del capitalismo globale, sono sensibili alle sirene della xenofobia e del sovranismo identitario.
Nel concreto, come suggerito dal sociologo Pascal Perrineau, la strategia inaugurata da Marine Le Pen sembra fare presa soprattutto sulle divisioni che attraversano in modo sempre più evidente la realtà del paese. Si tratta di ciò che in La France au Front (Fayard, 2014) Perrineau identifica nei termini di una «frattura economica», all’interno della quale emergono coloro che si identificano come «i perdenti della modernità», quelle legate alle trasformazioni socioculturali e ai processi migratori, con cui si misurano i sostenitori di «una società chiusa» e quanti esprimono «una forte domanda di autorità», la «frattura politica» per eccellenza, nutrita dalla sensazione che ci si misuri con un sistema bloccato che alimenta «la delusione e il rifiuto» nei confronti dei partiti tradizionali. E, infine, in un paese che riflette da anni soprattutto sulla crescita delle metropoli, l’emergere di una sorda contrapposizione con le piccole realtà della provincia e di quanti vivono invece nelle aree rurali. In questo senso, per Perrineau, «il Front National che è apparso all’inizio di questi anni di crisi, ha finito per trarre la propria forza proprio dal fatto di presentarsi come la principale espressione politica di quest’ultima. In una parola, il volto del ’malessere francese’».
NON È UN CASO che proprio i sintomi di tutto ciò, che riflettono la crisi sociale come anche una «domanda di senso» che si pensa altrimenti disattesa, siano riscontrabili tra gli elettori frontisti incontrati e intervistati, oltre una trentina, dal giornalista Antoine Baltier per il suo Comment devient-on électeur du Front National (Cherche Midi, pp. 368, euro 17,50). Sfilano così davanti ai nostri occhi le storie di Marie, trentenne che fa i conti con un’esistenza precaria e al limite della povertà, di Jean, impiegato quarantenne che guarda con angoscia ad un mondo che sembra non comprendere più, di Michel e di Lurent, rispettivamente un piccolo imprenditore ossessionato dall’immigrazione e un giovane omosessuale cresciuto nella banlieue parigina che odia e disprezza i musulmani, di Alain, cattolico praticante che ha trovato nel movimento anti-gay della Manif pour tous le ragioni di un risveglio politico e di Julien che alla soglia dei trent’anni confessa di non aver mai votato, «perché non mi fido dei politici», ma che ripone al contrario fiducia in ogni sorta di teoria complottista, nutrendosi della presunta «informazione alternativa» veicolata da siti, blog e social riconducibili all’estrema destra.
ELEMENTO, QUEST’ULTIMO, che come indica l’inchiesta condotta dai giornalisti di Libération, Dominique Albertini, e dell’Inrockuptibles, David Doucet, La fachospère (Flammarion, pp.309, euro 20,90), comincia a pesare in modo evidente, un po’ come è accaduto negli Stati Uniti con la campagna condotta in favore di Trump dai nuovi media della Alt-right, anche in Francia. Prova ne sia la diffusione delle tesi sulla cosiddetta «sostituzione di popolo» operata dai migranti o il seguito raccolto dalle posizioni «racialiste» e antisemite dell’ideologo del radicalismo di destra Alain Soral, prossimo agli ambienti frontisti. Naturalmente, però, il portato complessivo della sfida incarnata oggi dal Front National sarebbe stato impensabile senza le innovazioni semantiche e tematiche introdotte da Marine Le Pen. Come appare evidente in questa vigilia elettorale, una parte decisiva del processo di «normalizzazione» di cui sembra godere oggi l’estrema destra francese, si è giocata sull’affermarsi della figura pubblica della sua leader.
IL PROFILO della presidente del Fn è perciò stato oggetto di numerose inchieste cui si vanno ad aggiungere una serie di titoli pubblicati nell’imminenza del voto. Dalla «biografia non autorizzata» firmata da David Doucet e Mathieu Dejean, La politique malgré elle (La Tengo, pp.146, euro 14,50), che indaga «la giovinezza nascosta di Marine Le Pen», vale a dire quella trascorsa nella facoltà parigina di legge di Assas, tra i «pariolini» e i picchiatori neri, alcuni dei quali collaborano ancora oggi con lei, fino all’immersione nell’universo di riferimenti politici e culturali di questo personaggio, proposta dal direttore di Philosophie Magazine, Michel Eltchaninoff, Dans la tête de Marine Le Pen (Solin/Actes Sud, pp.208, euro 19), che riassumendone la cifra spiega, «la presidente del Front National non ha liquidato l’estrema destra. Al contrario, le ha donato nuova forza».
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