Elezioni britanniche. Si apre uno scenario incerto nel Nord Irlanda
L’annuncio di Theresa May di chiedere al parlamento britannico l’indizione di elezioni anticipate giunge inaspettato a Belfast e a Edimburgo quanto a Londra. Se Nicola Sturgeon dello Scottish National Party bolla la decisione come un enorme errore di calcolo politico nell’ambizione di spostare il Regno Unito sempre più a destra, Gerry Adams di Sinn Féin appare al momento di poche parole.
Sebbene i suoi collaboratori abbiano affermato che saranno elezioni in cui ribadire la resistenza nei confronti delle politiche conservatrici portate avanti dalle forze che hanno voluto la Brexit, il leader repubblicano si è limitato ad affermare che il suo partito è pronto, e che sarà una seconda opportunità di votare contro l’uscita dalla Ue e per il progresso.
Il reale motivo di questa relativa reticenza è l’incertezza dello scenario politico. Dopo l’exploit alle recenti elezioni nel Nord, i negoziati per la formazione di un governo misto sono in stallo, anche se nei giorni passati la fazione unionista sembrava aver fatto qualche passo avanti nel riconoscimento politico dei propri interlocutori. Di grande importanza simbolica la visita della leader del maggior partito, il Democratic Unionist Party, a un’associazione per lo studio della lingua irlandese. E lo stesso Adams aveva dichiarato che «un nuovo approccio generoso (alla questione, ndr) da parte unionista avrebbe incontrato altrettanta generosità da parte di Sinn Féin e dei progressisti».
La mossa di May viene ora vista dagli analisti come un gesto di mancato rispetto nei confronti del processo di pace, e come il sintomo di un generale disinteresse per le sorti dell’Irlanda del Nord. Alle elezioni generali, che nelle sei contee del Nord prevedono l’elezione di diciotto parlamentari destinati a Westminster, è scontata l’alleanza nel segno della Brexit tra il Dup e i Tories; ed è altrettanto prevedibile che Sinn Féin intenderà il voto come un passo ulteriore verso la riproposizione di un referendum sull’Irlanda unita: scenario ancora distante, ma che potrebbe avvicinarsi se continuerà il rafforzamento del partito repubblicano.
Nel frattempo, le commemorazioni del centunesimo anniversario della Rivolta di Pasqua sono state segnate da significative prese di posizione sul versante paramilitare. Oglaigh na hEireann, una fazione scissionista della Real Ira formatasi nel 2009, ha fatto intendere, attraverso il suo braccio politico, il Republican Network for Unity, di star considerando un abbandono della lotta armata. Gray McNally, ex prigioniero politico, parlando del bisogno di «andare avanti con la nostra gente, non senza di loro», sembra accettare il dato di fatto che la maggioranza della comunità nazionalista repubblicana non appoggi la soluzione armata, soluzione che in passato ha dato i suoi frutti proprio perché non invisa alla popolazione.
A poche ore di distanza, però, un altro gruppo, considerato il più pericoloso tra quelli attivi, che si firma Ira ma in passato si è chiamato anche New Ira – da non confondere con la Provisional Ira vicina a Sinn Féin che ha consegnato le armi nel 2005 – in una dichiarazione affidata all’Irish News afferma che si potrà ottenere un’Irlanda unita soltanto tramite l’uso delle armi. Nel rifiutare l’opzione politica di quello che definisce «nazionalismo costituzionale», il gruppo, responsabile di numerosi attacchi, anche letali, contro la polizia del Nord Irlanda, ha ribadito che la lotta «continuerà finché non otterremo una vera liberazione. Questa guerra deve andare fino in fondo».
Parole di minaccia che giungono a qualche settimana da un attacco a un blindato della polizia nella zona di Strabane, a cui sono seguite una serie di perquisizioni e fermi di attivisti della formazione socialista-repubblicana Saoradh, che gode del supporto dei prigionieri politici proprio della New Ira.
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