Arriva il decreto Minniti inemendabile, l’opposizione abbandona i lavori
Arriva già blindato, inemendabile, non discutibile, di passaggio nelle commissione riunite Affari costituzionali e Giustizia della Camera per pura formalità, vincolato alla questione di fiducia che il governo vi apporrà la prossima settimana. E l’opposizione, tutta e non solo, abbandona i lavori: i deputati di M5S, Sinistra Italiana, Possibile, Forza Italia, Lega – e perfino Mdp – lasciano solo la maggioranza alle prese col decreto immigrazione licenziato dal Senato il 29 marzo scorso e da convertire in legge, pena decadimento, entro il 17 aprile. Tutti uniti nel ritenere inaccettabile «il metodo», giacché nel merito ciascuno va per la propria strada. Fino al voto di fiducia, però. La prossima settimana infatti, quando l’Aula dovrà rinnovare l’appoggio al governo prima del voto finale sul decreto «Minniti-Orlando» (le pregiudiziali saranno invece esaminate e votate oggi), la musica cambierà. Gli ex Sel del Movimento Democratico e Progressista, per esempio, hanno già pronti due «No» secchi, all’uno e all’altro quesito, mentre i cugini di stirpe Pd sono ancora alle prese con i mal di pancia, oscillanti tra il tentare a tutti i costi un’unità del neonato Mdp ancora mai riuscita o rinnovare la loro fiducia al governo Gentiloni.
«Abbiamo deciso di mettere fine a un rito non democratico, visto che tutti gli emendamenti, tutti, sono stati respinti senza neppure essere discussi, e il governo si appresta a blindare il decreto con la fiducia», spiega Daniele Farina, di SI. È una posizione su cui concordano tutti coloro che, come Farina e la sua collega di partito Celeste Costantino, hanno lasciato i lavori delle commissioni riunite. Anche se, avvertono i deputati di SI, «le destre parlamentari hanno assunto la nostra stessa decisione in Commissione ma dietro la protesta di metodo c’è lì una condivisione nel merito». Sinistra Italiana invece attacca senza mezzi termini il decreto che ridisegna una «giustizia su base etnica» e cambia solo nome ai Centri di identificazione ed espulsione: «I dispositivi di concentramento contenuti nel decreto Minniti andavano cambiati e se ne è negata a priori la possibilità. Questo decreto ha sposato le linee di intervento delle destre italiane ed europee e ha respinto oggi alla Camera come prima al Senato ogni proposta diversa per la gestione dei flussi migratori e delle richieste di protezione internazionale».
Furiosi anche i deputati pentastellati: «È una vergogna, un’ignobile farsa e un atto antidemocratico – affermano in una nota – aggravato dal fatto che i nostri emendamenti, tutti respinti, non erano dilatori, ma solo volti a migliorare il testo». Poi attaccano «il ministro Finocchiaro» che «non ha fatto nulla per opporsi a questa vergogna e ci chiediamo cosa ci stia a fare nel suo ruolo». Per Pippo Civati e Andrea Maestri di Possibile «i ministri Orlando e Minniti firmano l’apartheid giudiziaria per richiedenti asilo e migranti, dopo aver colpito, col decreto sicurezza urbana, poveri, tossicodipendenti, clochard e persino i writers». E spiegano che l’abrogazione del reato di clandestinità prevista anche nei loro emendamenti, «oltre ad essere un passo di civiltà giuridica e politica non rinviabile, consentirebbe anche economie (zero procedimenti penali davanti ai giudici di pace) utili a rinforzare il lavoro delle sezioni specializzate civili in materia di protezione internazionale».Naturalmente il punto di vista delle destre è opposto: uno per tutti, il capogruppo di Fi Renato Brunetta che vede nell’accaduto, chissà come, un «evidente tentativo di recuperare l’elettorato di sinistra».
Molto particolare è invece la posizione di Mdp: Arcangelo Sannicandro, ex Sel della commissione Giustizia che ha pure abbandonato i lavori assicura al manifesto: «Non possiamo cambiare posizione dall’oggi al domani, dunque voteremo no alla fiducia e no al decreto che consideriamo gravemente sbagliato». Ma il suo capogruppo, Francesco Laforgia, ex Pd, pur ammettendo di condividere la posizione fortemente critica verso il decreto, ha chiesto al suo gruppo di discutere ancora per cercare una posizione unitaria da tenere in Aula. «Non siamo quelli della ventura e vogliamo distinguere il tema del rapporto con il governo al quale chiediamo di andare avanti», afferma. Dunque, malgrado i lavori in corso «perché si capisca che siamo uniti», Laforgia ammette: «Sì, potrebbe succedere. Una parte del Mpd, quella che ha affiancato il governo del Pd, voti per rinnovare la fiducia a Gentiloni».
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