Occupazione israeliana: Banksy tra arte e politica
BETLEMME. Una signora porta una pianta, suo marito saluta cordialmente il manager dell’hotel, Wassim Salsaa, che dispensa il benvenuto agli invitati che accedono al “The Walled Off Hotel”, l’hotel dello street artist britannico Banksy.
Tutti sorridono lasciandosi alle spalle i lastroni di cemento armato, decorati con slogan politici, manifesti, imprecazioni e frasi di speranza, che compongono questa sezione del Muro israeliano che circonda Betlemme.
Proprio all’ingresso, una nicchia ricorda Lord Balfour mentre nel 1917 promette la Palestina al popolo ebraico. Nella hall di stile vario, con alle pareti riproduzioni e originali di opere di Banksy, tra le decine di persone presenti gira una domanda: mescolato tra di noi c’è anche il famoso graffitaro?
La lente di ingrandimento è su un paio di uomini, alti e con uno spiccato accento british. Ma il mistero resterà irrisolto per tutta la sera. Banksy sa custodire il suo anonimato e i suoi collaboratori palestinesi hanno lavorato per oltre un anno all’hotel lontano dagli occhi dei media.
Al secondo piano, in una sala ampia e ben illuminata, sono esposti i lavori di pittori palestinesi: Tayseer Barakat, Khaled Hourani, Slyman Mansour e altri ancora. Alcuni di loro sono giù nella hall. Poi comincia un breve intrattenimento artistico, utile a spiegare il “The Walled off Hotel”.
Ad un certo punto, su di uno schermo, appare Elton John live da Los Angeles. Wassim Salsaa sostiene che il cantante britannico si esibisce anche in onore di questo piccolo albergo in Palestina. Scattano gli applausi.
Eppure le attrazioni della serata restano la stanza decorata dallo stesso Banksy e il murales che ritrae un palestinese e un poliziotto israeliano che si prendono a cuscinate.
Inevitabile porsi degli interrogativi. Questo albergo è una iniziativa artistica o commerciale? Ha un significato politico o è figlio di quella superficialità occidentale che sempre più spesso avvolge la questione palestinese? È una denuncia sincera della barriera israeliana o proprio quei lastroni di cemento finiscono per renderlo trendy?
Probabilmente è tutto questo e anche altro, con gli amministratori palestinesi che appaiono un po’ meno interessati ai contenuti rispetto allo stesso Banksy che a Betlemme ha donato la sua guerrilla art per condannare l’orrore del Muro.
Lo street artist un paio d’anni fa è stato anche a Gaza, per lasciare i suoi graffiti sui ruderi delle case abbattute dai raid israeliani. E non passa inosservato, accanto all’hotel, il negozio dove è possibile acquistare magliette, poster, souvenir con le immagini dei lavori del graffitaro iconoclasta.
Si dice che l’hotel voglia favorire il dialogo fra israeliani e palestinesi e riportare i riflettori su Betlemme, la città della Natività che, soffocata dal Muro, non riesce a sfruttare il suo potenziale turistico e le capacità dei suoi noti artigiani del legno d’olivo.
Sarebbe già tanto se riuscisse a persuadere i giornalisti italiani a non definire il Muro che divide Betlemme da Gerusalemme e dalle campagne circostanti, sempre e soltanto come una «barriera anti-terroristi» e a considerare quanta terra questa “opera” ha sottratto alla Cisgiordania per annetterla di fatto a Israele e i danni che ha causato a decine di migliaia di palestinesi, specie gli agricoltori, spesso riducendoli alla fame.
Gli abitanti di Betlemme non hanno un giudizio unico del “The Walled Off Hotel”. Molti lo apprezzano, altri alzano le spalle, altri ancora lo ignorano. A Banksy comunque tutti i palestinesi dovranno dire grazie per aver riportato attenzione sul Muro.
Quei 700 km di cemento e reticolati che dal 2002, come un serpente, si incuneano nella Cisgiordania restano per i palestinesi il jidar al fasl al unsuri, il muro della separazione razziale. Ormai non se ne parla più, non fanno più notizia le manifestazioni settimanali che a Bi’lin e in altri villaggi contro quel mostro di cemento.
Negli anni passati, oltre a Banksy, altri artisti, come Roger Waters dei Pink Floyd, hanno denunciato il Muro. Poi più nulla o quasi.
Ed è caduto nell’oblio il parere emesso il 9 luglio 2004 dalla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia: «L’edificazione del Muro che Israele, potenza occupante, è in procinto di costruire nel territorio palestinese occupato, ivi compreso l’interno e intorno a Gerusalemme Est, e il regime che gli è associato, sono contrari al diritto internazionale». Nel 2017 un piccolo hotel e un artista di strada riaprono il caso.
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