by Ernesto Milanesi, il manifesto | 2 Marzo 2017 9:33
«Mi chiedo che senso abbia fare una legge per dare diritto di scelta e poi non mettere nessuno nelle condizioni di poterlo fare…». È l’amaro commento di una donna di 41 anni, madre di due figli, che ha collezionato 22 «indisponibilità» per un’interruzione di gravidanza negli ospedali di Veneto, Friuli e Trentino. Soltanto grazie all’intervento della Cgil, è riuscita ad ottenere ciò che prevede la legge 194 all’ospedale di Padova che pure all’inizio non era stato in grado di farlo.
La donna a dicembre aveva scoperto di essere incinta. Come sempre in questi casi, è approdata alla sofferta scelta di non portare a termine la terza gravidanza. Ma ha constatato il muro di gomma del serivizio sanitario nell’intero Nord Est: 22 ospedali hanno respinto la sua richiesta. Ginecologi obiettori in blocco, mancanza di posti letto, ferie. La donna si è così rivolta alla Camera del lavoro di via Longhin, ottenendo finalmente una seconda risposta positiva dall’Azienda ospedaliera che si picca di garantire «eccellenza», ma che soprattutto in Ginecologia-Ostetricia si dimostra di fatto paralizzata dalla «faida» fra universitari e ospedalieri.
Nel Veneto formato Vandea, l’80% dei ginecologi oppone l’obiezione di coscienza all’applicazione della legge 194. E proprio Padova, insieme a Belluno, si rivela la provincia con più difficoltà per le donne. Netta la presa di posizione della Cgil: «Se è vero che la legge consente l’obiezione di coscienza, è altrettanto vero che ogni struttura pubblica deve essere messa nella condizione di garantire una prestazione che la medesima legge consente. Anche a costo di assumere medici non obiettori in Veneto. Ciò alla luce delle recenti dichiarazioni del governatore Luca Zaia circa l’assunzione di personale non obiettore al centro di procreazione assistita nell’ospedale polesano di Trecenta».
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