Israele. La Silicon Valley della cannabis terapeutica

Israele. La Silicon Valley della cannabis terapeutica

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GERUSALEMME Quattro anni fa Yair Lapid aveva rischiato di lasciare la politica ancora prima di entrarci. L’aver negato di aver rollato qualche spinello in gioventù sarebbe stata la prova fumante — secondo i critici — che anche il più nuovo tra i leader di partito aveva imparato a mentire quanto quelli vecchi.

Che avesse provato l’erba da ragazzo lo avevano rivelato gli ex compagni di liceo ai giornalisti. Adesso Lapid sceglierebbe forse di rispondere senza ansie a chi gli chieda conto di quelle aspirazioni giovanili. E con lui il milione di israeliani che fa uso di marijuana: il governo conservatore ha deciso di decriminalizzarlo, chi viene fermato dalla polizia perché sta fumando in pubblico riceverà una multa di 1000 shekel (quasi 255 euro). L’ammenda diventa doppia la seconda volta, fino a quattro segnalazioni: solo allora il consumatore può essere perseguito. Resta illegale comprare o vendere l’erba e il progetto deve passare il voto del parlamento. Il piano sostiene la necessità di spostare gli interventi dalla criminalizzazione all’educazione, con campagne che spieghino i danni causati dell’abuso. Un minore che venga fermato può essere indagato solo se si rifiuta di partecipare a un programma di trattamento.

Israele è già il secondo Paese al mondo nella distribuzione della cannabis terapeutica, oltre 400 chili al mese per 18 mila pazienti: basta la ricetta scritta da un medico autorizzato, basta lamentarsi del mal di schiena che non lascia dormire o dell’ansia per la Sindrome da disordine postraumatico, molto diffusa in una nazione da sempre in guerra. Tra i palazzoni di Rishon Letzion, a pochi chilometri da Tel Aviv, il ministero dell’Agricoltura ha costruito per quasi 2 milioni di euro le serre da mettere a disposizione degli scienziati per studiare gli usi medicinali della pianta.

L’obiettivo è anche creare la prima banca genetica al mondo che permetta di registrare i brevetti per i trattamenti. Perché come spiega il professor Raphael Mechoulam «la canapa rappresenta un tesoro farmacologico ancora da scoprire, finché non è possibile garantire la proprietà intellettuale le case farmaceutiche esitano a investire nella ricerca». Ex rettore dell’Università ebraica a Gerusalemme, è stato lui negli anni Sessanta a identificare e isolare i principi attivi e ancora oggi a 86 anni continua gli esperimenti di biochimica nel laboratorio dell’ospedale Hadassah.

Nei magazzini del vecchio porto di Tel Aviv si ritrovano fra due settimane gli avventurieri, inventori e innovatori di un mercato globale che solo negli Stati Uniti vale 7,1 miliardi di dollari: start-up come la israeliana Syqe che produce un inalatore capace di fornire la dose necessaria di marijuana fino ai microgrammi. Alla fiera Cannatech si discute di infusi e tisane, di coltivazione biodinamica, di botanica e biologia, di investimenti sulle idee migliori in stile Silicon Valley.

La riforma per la depenalizzazione spinta dal governo di Bibi Netanyahu non è considerata sufficiente dagli attivisti della sinistra radicale («una presa in giro») e da deputati dell’ultradestra come Moshe Feiglin, tra i leader dei coloni religiosi oltranzisti. Per primo ha proposto una legge che rendesse la marijuana medica disponibile a tutti i malati senza dover passare attraverso la burocrazia sanitaria o le intromissioni delle grandi compagnie farmaceutiche nella libera ricerca, la moglie è stata colpita dal Parkinson e ne fa uso a casa: «Dio ci ha dato questa pianta benefica — ha scritto qualche anno fa in un commento sul quotidiano Yedioth Ahronoth , il più venduto nel Paese — ed è lui a detenere il brevetto».

Davide Frattini



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