by Vincenzo Maccarone, il manifesto | 9 Marzo 2017 10:00
DUBLINO. Una giornata storica per i diritti delle donne in Irlanda. Benché la legislazione irlandese sugli scioperi sia molto restrittiva, lo sciopero sociale promosso dalla campagna «strike4repeal» ha portato in piazza migliaia di persone in tutto il Paese per spingere il governo a convocare un referendum per abrogare l’ottavo emendamento della Costituzione che, eguagliando i diritti del nascituro a quelli della madre, rende l’aborto un atto sostanzialmente illegale. In una Dublino stranamente baciata dal sole, centinaia di manifestanti vestiti di nero (il colore ufficiale della manifestazione) hanno picchettato sin dalla mattina i principali ministeri, per poi dirigersi verso O’Connell Bridge, il ponte principale della capitale. Lì sono convogliati anche gli studenti e le studentesse provenienti dai vari campus universitari e il ponte è stato bloccato per alcune ore, paralizzando la città. Fra i cori cantanti dai manifestanti «Not the church, not the State, women must decide their fate» (né la chiesa, né lo Stato, le donne devono decidere sul loro destino) e «Enda, Enda, we want a referendum» (Enda Kenny è il primo ministro irlandese). A chiudere la giornata una grande marcia serale.
Ma non c’è stata solo la capitale: manifestazioni e presidi hanno animato tutte le principali città d’Irlanda. Oggi il parlamento discuterà di una proposta di legge del gruppo di opposizione People Before Profit per ridurre la pena per praticato aborto (che oggi può arrivare fino a 14 anni) ad una multa simbolica di 1 euro, ma il governo ha già annunciato voto contrario. Intanto si attendono le decisioni della «citizen assembly», un gruppo di 99 cittadini estratti a sorte che avrà il compito di emettere delle raccomandazioni per una eventuale riforma della legislazione. Ne abbiamo parlato con Avril Corroon, una delle portavoci del gruppo che ha organizzato lo sciopero.
Può dirci come è nata la vostra campagna per lo sciopero dell’8 marzo?
Siamo nate dopo lo sciopero delle donne in Polonia, mentre in Irlanda il governo rinviava per l’ennesima volta una decisione sul referendum convocando la «citizen assembly», aumentando così la nostra frustrazione.
Cosa succederà dopo l’8 marzo? I sondaggi non sono univoci riguardo al supporto per l’abrogazione dell’ottavo emendamento…
Ci sono sondaggi commissionati da Amnesty International che mostrano che l’80% delle persone è a favore dell’abrogazione dell’ottavo emendamento. Altri sondaggi sembrano mostrare una maggioranza a favore di una semplice modifica, penso che questo sia dovuto ad un’informazione poco chiara, laddove alcune persone credono che sia normale avere nella nostra costituzione delle norme che restringono il diritto all’autodeterminazione sul proprio corpo. Se ci fosse sul piatto la possibilità di indire un referendum, i promotori sarebbero in grado di mostrare che l’ottavo emendamento non va solo modificato ma va abrogato in toto. Su questo non ci possono essere compromessi.
Vi aspettate di continuare ad operare come «strike4repeal» anche dopo questa giornata?
Dopo l’8 marzo «strike4repeal» è destinato a sciogliersi: siamo un gruppo creato ad hoc che raccoglie attiviste da differenti organizzazioni, e che è composto da «signor nessuno» ma in grado di usare il proprio potere per convocare uno sciopero sociale nazionale. Potremmo anche ritrovarci insieme in futuro, ma in ogni caso quello che è evidente da quando è stata lanciata questa campagna è che sono nati ben 48 gruppi locali, c’è stata una mobilitazione enorme e anche persone che prima non erano attive sono ora più coinvolte. Cosa ci aspettiamo di vedere dopo l’8 marzo? Che si mantenga lo slancio e che ci sia la possibilità di altri scioperi, convocati da ancora più persone.
In Irlanda negli ultimi anni ci sono stati avanzamenti significativi nel campo dei diritti civili, ad esempio la legalizzazione dei matrimoni omosessuali. Come mai non c’è ancora il diritto all’aborto?
I governi irlandesi hanno paura e continuano pavidamente a rinviare il problema dei diritti riproduttivi agli esecutivi successivi, perdendo tempo. Il problema non riguarda gli uomini di mezza età che sono al potere, che mostrano una chiara mancanza di volontà politica di cambiare la situazione. Questo è precisamente il motivo per cui azioni dirette come lo sciopero sociale sono necessarie: non abbiamo scelta e non aspetteremo.
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