by Roberto Ciccarelli, il manifesto | 18 Marzo 2017 10:12
Dopo l’abrogazione dei voucher da parte del governo sono almeno cinque le alternative in campo per regolamentare il lavoro occasionale. Nella carta dei diritti universali del lavoro, agli articoli 80 e 81, la Cgil prevede un «contratto di lavoro subordinato occasionale» rivolto a «piccoli lavori di tipo domestico familiare», comprese le lezioni private, il giardinaggio e il babysitteraggio o l’assistenza domiciliare alle persone anziane.
Fermo restando che anche una parte di queste attività di cura possono rientrare nel lavoro part-time, il sindacato ritiene di regolamentare con il contratto attività svolte da studenti, inoccupati, pensionati e disoccupati non percettori di forme previdenziali obbligatorie o trattamenti di disoccupazione. I soggetti interessati comunicano la loro disponibilità ai servizi per l’impiego e ricevono una tessera magnetica con il pin. Chi vuole ricorrere alle loro prestazioni occasionali dovrebbe acquistare, a proprie spese, presso le rivendite autorizzate (non è specificato se anche tabaccai, come per i voucher) una «scheda per prestazione di lavoro subordinato occasionale» dotata di un codice a barre e codice fiscale. Sulla tessera del lavoratore saranno corrisposti 7,50, 1,30 all’Inps e 0,70 centesimi all’Inail, 0,50 centesimi sono il rimborso spese per il servizio. I datori di lavoro sono «tracciati» da un decreto del ministero del lavoro, i concessionari delle schede dei lavoratori e gli autorizzati alla loro vendita. Una formula vicina ai voucher, ma ricondotta al contratto e non al lavoro a scontrino in tabaccheria. La Cgil potrebbe avanzare questa proposta nel confronto con il governo evocato da più parti in queste ore.
Poi c’è la proposta di Pietro Ichino sull’estensione del contratto di lavoro intermittente, il job on call sostanzialmente abolito dal Jobs Act di Renzi. Due anni fa il Pd pensava che l’intero lavoro occasionale sarebbe stato inglobato dai voucher. Dopo la clamorosa marcia indietro per evitare una nuova batosta al referendum Cgil, ora si pensa a estendere l’uso del lavoro a chiamata oltre gli under 25 e gli over 55 per 400 giorni lavorati in 3 anni. Le Acli, invece, propongono due voucher: uno per attività per i privati e uno per imprese e enti pubblici. Nel primo caso dovranno essere utilizzati solo saltuariamente, con limitazioni circa la durata per entrambe le parti. Per le imprese il ricorso al voucher non deve risultare economicamente più conveniente né concorrenziale rispetto ad altri rapporti di lavoro.
In attesa di una proposta, Area Popolare con Maurizio Lupi è imbizzarrita per la resa del governo e dei renziani alla Cgil e minaccia addirittura di non votare il decreto. La portavoce Ncd Valentina Castaldini propone una «mediazione». L’idea è quella dei «mini-job» o dei «voucher alla francese». Partiamo da quest’ultimo: il Chèque emploi service universel (Cesu) è in vigore dal primo gennaio 2006, permette di usare i servizi di un lavoratore assunto attraverso sei società di servizi accreditate. Il lavoro a voucher non è illimitato e si svolge una piattaforma digitale. La durata è inferiore alle otto ore a settimana o per un mese l’anno e non è rinnovabile. Il voucher può essere usato due ore a settimana. Alla base c’è sempre un accordo di lavoro.
La proposta dei mini-jobs è insidiosa. L’allusione alla Germania è chiara: un paese dove esistono almeno 7 milioni di working poors che vivono di lavoretti. I mini-jobbers sono all’incirca 5 milioni; il resto sono lavoratori marginali [geringfügig Beschäftigte] che sommano il Mini-job con un lavoro a tempo determinato o indeterminato. Le principali categorie coinvolte sono gli under 25, gli stranieri e lavoratori privi di formazione professionale. La creazione di una simile gabbia non ha creato solo una categoria di «lavoratori marginali», ma anche un serio problema ai conti previdenziali. Come l’Italia, anche la Germania è un paese seduto su una bomba ad orologeria, indipendentemente dalle forme del lavoro occasionale. La precarietà di massa non permette il pagamento di pensioni dignitose. Lo stipendio massimo di un mini-jobber è 450 euro mensili con limite orario formale di circa 15 ore a settimana. Il 13% di questa cifra paga un’assicurazione sanitaria, il 15% va alla previdenza. A carico del datore di lavoro ci sono spese per la malattia, maternità e contributi. Al salario deve aggiungere il 30,99%.
L’abolizione dei voucher potrebbe portare alla creazione di questo sistema anche in Italia e alla formalizzazione dell’esistenza di un popolo di salariati poveri e marginali senza redenzione. Un popolo invisibile che non viene conteggiato nemmeno nelle statistiche sull’occupazione e la disoccupazione. Una delle ragioni per cui la Germania è considerata «virtuosa».
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