by Caterina Francesca Guidi*, il manifesto | 8 Marzo 2017 10:54
In occasione della Giornata internazionale delle donne, il Servizio di ricerca del Parlamento europeo ha pubblicato una relazione con significati dati statistici che descrivono la condizione delle donne europee. I dati saranno al centro, il 13 e 14 marzo, del dibattito sulla proposta di risoluzione Equality between women and men in the European Union in 2014-2015[1], promossa dal Comitato sui Diritti delle donne e uguaglianza di genere (Femm[2]). Nella relazione s’invita il governo dell’Ue a mettere in cima alla propria agenda politica la parità di genere, principalmente promuovendo la rappresentanza femminile a tutti i livelli decisionali e colmando il divario retributivo. Recentemente il Parlamento Ue ha adottato alcune risoluzioni specifiche riguardanti le donne, sul bilanciamento tra lavoro e vita privata (2016), sul divario retributivo di genere (2015) e quello nel settore digitale (2016), ma la strada è ancora lunga.
MERCATO DEL LAVORO
Le dinamiche di genere da sempre modellano i mercati di lavoro europei assieme ai programmi di protezione sociale, che talvolta ostacolano l’accesso al mercato del lavoro o mostrano come il tasso di partecipazione sia inversamente proporzionale al tasso di fertilità – pari a 1,5 figli per donna in Ue. Una situazione che si è acuita in questi tempi di crisi economica e finanziaria.
Negli ultimi due decenni c’è stato un continuo aumento della forza lavoro femminile: a oggi le donne lavoratrici in età compresa tra i 20 i 64 anni nell’Ue sono in media il 64,3% del loro totale. Ma il quadro si complica quando andiamo a scomporre per livelli educativi. Tra le donne con un’educazione di livello primario solo il 42,8% risulta impiegato: il Portogallo presenta il più alto numero (42%), mentre la Lituania il più basso (3%).
In media nove donne su 100 dell’Unione europea (9,3%) sono senza lavoro con grande variabilità tra gli Stati membri, dal 28,9% della Grecia al 4,2% della Germania. Pari a circa 2 milioni si attestano le giovani, tra 15 e 24 anni, europee disoccupate e, nella stessa fascia di età, circa il 12,3% in media nell’Ue sono neet[3], ovvero persone inattive nel mondo del lavoro, dell’educazione o della formazione.
La Commissione europea ha analizzato[4] 613 delle più grandi società quotate dell’Ue: soltanto il 5% delle donne ricoprono il ruolo di chief executive officer (ceo), il 7% di presidente e circa il 23% sono membri del cda. Il 6,3% delle donne e l’8% degli uomini sono assunti come scienziati e ingeneri[5]: in 10 Stati membri, il tasso di occupazione delle donne in questi settori è superiore a quello degli uomini. Al contrario, la Finlandia ha molti più uomini (14,9%) rispetto alle donne (6,5%) che lavorano in questi ambiti.
Inoltre, le donne e le ragazze sono più propense a impegnarsi in lavoro non retribuito, come ad esempio la cura, la cucina e la pulizia. Globalmente[6], le donne affermano di spendere il 19% del loro tempo in attività non retribuite, mentre gli uomini riferiscono di destinarne non più del 8%.
RISORSE ECONOMICHE
Il gender gap[7] dei guadagni complessivi è al 39,7% vale a dire che per ogni 100 euro guadagnati da un uomo, una donna ne guadagna 60, anche se con una certa variabilità all’interno degli Stati membri. La percentuale spazia dal 19,2% in Lituania al 47,5% nei Paesi Bassi. I salari delle donne tendono anche a diminuire quando hanno un figlio, mentre al contrario aumentano i salari dei padri, quasi a conferma di un effetto penalizzante [8]della maternità.
È al 40% pure il gender pension gap[9], che cattura le disuguaglianze di reddito accumulate dalle donne dopo i 65 anni. In tutti gli Stati membri la pensione media della donna risulta inferiore a quello degli uomini, lasciando così le donne di età superiore ai 65 sostanzialmente a più alto il rischio di povertà[10] rispetto agli uomini.
Secondo l’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere (Eige[11]), l’accesso delle donne dell’Ue alle risorse economiche e finanziarie rimane inferiore a quello degli uomini: da un punteggio di 68,9/100 nel 2005 si scende addirittura a 67,8/100 nel 2012.
A livello dell’Ue, gli uomini (62%) tendono a risparmiare più soldi rispetto alle donne (59%): i divari più grandi tra generi, misurati in punti percentuali, sono in Spagna (16), Italia (15) e Polonia (12). Gli uomini tendono (38%) a prendere denaro in prestito più delle donne (34,9%), come confermato dall’evidenza in 18 Stati membri. Questa tendenza trova una sua conferma anche a livello globale: come riportato da un recente report delle Nazioni Unite del 2016, globalmente il 57% delle donne hanno un conto finanziario contro il 64% degli uomini.
Peggiora il settore del risparmio e del credito, soprattutto per chi versa in condizioni di estrema povertà (meno di due dollari al giorno): le donne hanno il 28% in meno di probabilità rispetto agli uomini di avere un conto bancario formale, a causa della loro minore credibilità presso banche e istituzioni finanziarie.
LEADERSHIP
Per gran parte della storia, le donne sono state anche escluse da ruoli di comando nella maggior parte delle società. I movimenti femministi del XX secolo hanno messo in risalto l’assenza delle donne dalle arene tradizionali di potere, potendo così cominciare a emergere. Tuttavia sono ancora sotto rappresentate nelle posizioni di leadership.
Globalmente i capi di Stato e di Governo donna sono ancora una minoranza, anche se sono aumentate da 12 a 22 negli ultimi 20 anni e soltanto il 18% dei ministri nominati sono donne, anche se a esse di solito sono assegnati portafogli relativi alle questioni sociali. A oggi nell’Unione europea, solo il 37% dei membri del Parlamento europeo è donna[12], e il 27% dei ministri e il 26% dei sottosegretari tra gli Stati membri dell’Ue.
Le donne giocano un ruolo centrale nella mediazione, pacificazione e giustizia di transizione. I dati provenienti da 182 accordi di pace firmati[13] tra il 1989 e il 2011 mostrano che, quando sono coinvolte le donne nel processo di pace, gli accordi di pace hanno il 20% in più di probabilità di durare almeno 2 anni e del 35% di durare almeno 15 anni.
EDUCAZIONE E SALUTE
Recentemente l’Unesco ha ricordato che ancora a 60 milioni di ragazze nel mondo viene negata l’educazione: per questo centrale risulta lavorare sull’accesso all’educazione, sanità, mercato del lavoro e parità di pagamento. Secondo le Nazioni Unite [14]il diritto alla salute sessuale e riproduttiva (Shr) non è soltanto parte integrante del diritto alla salute: essa è pure legata al godimento di molti altri diritti umani. I dati dimostrano che fornire alle bambine e alle ragazze un’adeguata formazione educativa aiuta a rompere il ciclo della povertà per un effetto a catena di opportunità che influenza le generazioni a venire.
Le donne istruite hanno meno probabilità di sposarsi in età minore e contro la loro volontà, meno probabilità di morire di parto, maggiori probabilità di crescere e allevare bambini sani e sono più propense a mandare i figli a scuola.
Più alto è il tasso di alfabetizzazione, più basso il divario educativo tra i maschi e femmine. Soltanto 20 Stati membri[15]dell’Ue hanno l’educazione alla shr come insegnamento obbligatorio e molte donne ancora non hanno un accesso adeguato alla contraccezione.
Una recente ricerca mostra che in Europa il gender wealth gap[16], ovvero il divario nella ricchezza – dati i beni posseduti, d’investimento e di risparmio – sta diventando più importante del reddito quale fattore determinante della diseguaglianza.
La politica e le istituzioni possono attenuare questa disuguaglianza, colmando il divario retributivo e aiutando le donne a costruire ricchezza da investire su stesse e il futuro dei figli, contro la disoccupazione e le emergenze finanziarie.
*Ricercatrice di GlobalStat[17] dell’European University Institute (Eui)[18] di Firenze che insieme all’European Parliament Research Service (Eprs)[19] ha elaborato il contributo dal titolo Empowering women in the Eu and beyond[20], da cui provengono i dati analizzati.
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