L’infanzia distrutta dei bambini siriani

L’infanzia distrutta dei bambini siriani

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AMMAN. «Ferite invisibili: l’impatto dei sei anni di guerra sulla salute dei bambini»: l’ultimo rapporto di Save the Children è impietoso. Attraverso 458 interviste a minori, genitori e operatori sociali, l’ong racconta una devastazione: la scomparsa dell’infanzia in Siria.

Il 78% dei bambini dice di provare regolarmente dolore e tristezza e evidenzia gli effetti dello stress post traumatico, uno su quattro (2 milioni e mezzo) ha sviluppato disturbi seri: incubi, insonnia, pensieri suicidi, rabbia, depressione. Gli adulti denunciano, invece, l’incapacità di intervenire: metà degli intervistati dice di aver visto adolescenti usare droghe, il 59% di conoscere minori arruolati da gruppi armati.

IL FISCHIO DELLE BOMBE, il senso di insicurezza, lo sfollamento e la perdita di fiducia negli adulti segnano il futuro del paese: «Questi bambini, questi corpi, sono in costante conflitto o fuga, il livello accumulato di stress tossico avrà indubbiamente conseguenze sul lungo termine», spiega la psicologa Marcia Brophy, che ha condotto le interviste. Uno stress tossico che accomuna tutti i siriani, dentro e fuori il paese.

Dal 2011 sette milioni di persone, di cui la metà minori, hanno abbandonato la Siria in cerca di un rifugio nei paesi confinanti: la Giordania ne ospita il numero maggiore.

Secondo le agenzie internazionali (tra cui Unicef e Ocha), tra i rifugiati siriani di qualsiasi età sussiste un alto tasso di disordini emozionali (54%), tra i più comuni depressione e ansia. In tutti i paesi ospitanti e in Siria, sono numerosi i casi di epilessia. Il 79% dei minori fa i conti con almeno un lutto in famiglia; il 60% è stato testimone di atti di violenza estrema.

AI TRAUMI DA GUERRA va aggiunto il «trauma migratorio». Il non aver potuto preparare normalmente il proprio progetto migratorio è un notevole fattore di rischio: gli effetti sulla salute dipenderanno dalle capacità di adattamento del singolo e il superamento del trauma da caratteristiche individuali e l’ambiente circostante.

La Giordania, come la Turchia, non ha una legislazione ad hoc sulla salute mentale. Ci sono dei piani programmati con il supporto delle ong internazionali, che stabiliscono però in maniera confusa le azioni da intraprendere. Secondo dati dell’International Medical Corps, ci sono 3 psichiatri, 0.1 medici di base, 12 infermieri, 0.5 psicologi, 0.75 assistenti sociali ogni 300 mila persone.

Per quanto riguarda la sfera educativa, la Giordania permette ai minori siriani l’ingresso nelle scuole pubbliche, mentre in Turchia per poter frequentare la scuola un bambino siriano deve parlare la lingua turca. In nessun paese confinante è concesso ai professori siriani di insegnare: non hanno il permesso di lavoro.

Le difficoltà economiche spingono molte famiglie siriane a far lavorare nel mercato nero anche i minori, spesso costretti a ritirarsi dalla scuola per aiutare la famiglia ad arrivare alla fine del mese.

OLTRE L’80% DEI RIFUGIATI siriani in Giordania non vive nei campi profughi ufficiali, ma risiede nelle comunità locali. Nonostante l’atteggiamento ospitale e solidale di una buona parte dei giordani, sono in aumento casi di discriminazione verso i rifugiati: negli ultimi anni una netta stratificazione sociale sta generando cambiamenti radicali nella società.

Ad Amman la trasformazione è tangibile ed evidente. Nelle periferie risiedono le famiglie di classe medio-bassa, strette nella morsa della difficoltà economica, a causa di salari troppo esigui per stare al passo dello stile vita diffusosi di recente. Il lavoro nero con l’arrivo dei rifugiati siriani è aumentato a livello esponenziale e il salario medio ha subito un andamento inverso.

SONO MOLTISSIMI I MINORI che lavorano, spesso in condizioni che compromettono ulteriormente il loro benessere psicofisico. La sanità è diventata un lusso che non tutti riescono a permettersi: una gastroscopia può arrivare a costare 500 euro, lo stipendio di un lavoratore medio. Più della metà dei rifugiati siriani in Giordania soffre di malattie croniche e necessita cure, ma l’accesso ai servizi pubblici è sempre più ristretto.

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