INCROCERANNO le braccia in ufficio e a casa: astensione dal lavoro, ma anche stop alle lavatrici, niente spesa e figli portati a scuola dai papà. Sarà un 8 marzo di lotta, non più puramente celebrativo. Ma lo sciopero delle donne, proclamato “dal basso”, manda già in tilt i sindacati confederali, con Susanna Camusso della Cgil che ricorda: «L’astensione dal lavoro non è solo un atto simbolico ». Lo sciopero di genere, che arriva per la prima volta in Italia sull’onda della mobilitazione internazionale, partita in Polonia e Argentina e rilanciata dalla
Women March di Washington, da noi fa già discutere. A promuoverlo è la rete femminista “Non una di meno”, che ha portato in piazza lo scorso novembre 250mila donne contro la violenza. I sindacati di base (Usi, Usb e Cobas) hanno proclamato l’astensione per 24 ore, la Cgil fatica a discostarsi ma si sfila dallo sciopero generale. La rete femminista aveva chiesto questo ai confederali. Cisl e Uil non hanno risposto, Camusso, alla guida della Cgil, lo ha fatto con una lettera: «Sono solidale, vi esprimo affetto e rispetto, parteciperemo alle iniziative — scrive — ma lo sciopero non è solo un atto simbolico, ma la determinazione di rapporti di forza che si realizzano in presenza di ampia partecipazione ». Perciò il sindacato è pronto a proclamarlo laddove «abbia possibile concretezza». Non a caso sciopereranno le insegnanti e le educatrici degli asili, non le operaie: la Flc-Cgil ha proclamato 8 ore di astensione, la Fiom no. «L’80% della nostra categoria è donna e siamo educatori: abbiamo due volte ragione per aderire», afferma la segretaria nazionale della scuola Francesca Ruocco. Anche nei singoli luoghi di lavoro sarà possibile l’astensione, «col consenso delle lavoratrici », precisa Camusso. Ma niente sciopero generale.
È il nodo di questa mobilitazione: è possibile uno sciopero di genere, fuori da categorie e rivendicazioni contrattuali? Per le donne del movimento sì. «La natura politica di questo sciopero è l’opposizione alla violenza contro le donne in ogni forma », spiega Paola Rudan. «I confederali non hanno saputo cogliere la sfida, è una scelta miope: questo è uno sciopero politico, sociale. La copertura c’è, tutte le donne potranno farlo», contesta Tatiana Montella, voce di “Io decido”, la rete romana che sta nel movimento con l’Udi e i centri anti-violenza. Anime diverse di un nuovo e altro femminismo che avanza, con tanti distinguo, pure sulle mimose. «Noi le offriamo dal ‘44 e lo faremo anche quest’anno — spiega Laura Piretti, responsabile Udi — Aderiamo allo sciopero, anche se avremmo preferito che passasse l’idea delle donne che si fermano, che si sottraggono per un giorno o un minuto a questa società violenta».
La mobilitazione sarà internazionale, dalle donne polacche che protestano contro un disegno di legge che vieta l’aborto alle argentine già scese in piazza lo scorso ottobre per Lucia Pérez, stuprata e uccisa, sino all’appello sul Guardian, firmato anche dall’attivista Angela Davis. C’è prudenza sui numeri. Ma c’è già chi, come l’azienda dei trasporti di Bologna, annuncia possibili disagi. Da Palermo a Milano, saranno centinaia le iniziative, con cortei in tutte le città. A Roma si partirà con un presidio in Regione sul diritto alla salute, altrove si manifesterà davanti agli ospedali per il diritto all’aborto. E c’è chi invita a sospendere «le attività riproduttive»: non solo le pulizie di casa, ma anche i rapporti sessuali. Uno dei tanti modi per dimostrare che «se le donne si fermano, si ferma anche il mondo».
Sembra ormai una classica never ending story: anche ieri sul dossier Parmalat si sono tenute delle importanti riunioni tra gli attori principali della cordata italiana.