Global Turkey in Europe a Budapest. I migranti al centro

by Osservatorio Sociale Mitteleuropeo - OSME | 2 Marzo 2017 11:41

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Tra il 23 e il 24 febbraio scorsi, Budapest è stata la quarta tappa del progetto Global Turkey in Europe, concepito e realizzato dallo IAI (Istituto Affari Internazionali) in collaborazione con l’Istanbul Policy Centre e con la Fondazione Mercator. Quelle precedenti sono state Istanbul, Atene e Catania che sono entrate a far parte di un percorso studiato per seguire le principali rotte migratorie verso l’Europa. La tappa di Budapest è rimasta incompleta, nel senso che le autorità ungheresi non hanno consentito ai suoi partecipanti e organizzatori, di visitare le strutture di accoglienza di migranti e profughi. Eppure, inizialmente, avevano consentito l’accesso al campo di  Vámosszabadi, per poi, però, revocare l’autorizzazione. Sull’episodio, e sullo svolgimento generale del progetto, da Istanbul a Budapest, abbiamo sentito Nathalie Tocci, vicedirettore dello IAI e Bianca Benvenuti, ricercatrice e assistente alla ricerca nel programma Turchia e Vicini Orientali dello IAI.

 

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Nathalie Tocci. Foto per gentile concessione dello IAI

OSME: Facciamo un bilancio del percorso iniziato a Istanbul e giunto alla tappa ungherese di Budapest. Come sono andate le cose fin qui?

Nathalie Tocci: Vorrei prima di tutto precisare che si tratta del primo progetto di questo tipo realizzato dallo IAI. Fatta questa premessa devo dire che ciò che mi è piaciuto di più è stata soprattutto la combinazione tra il field trip e la dimensione più seminariale che è molto interattiva. Poi mi ha colpito molto il fatto che in alcune occasioni, come a Catania, sicuramente a Istanbul e ad Atene e anche qui a Budapest, si sono create situazioni di dissonanza cognitiva. Queste situazioni si determinano quando si arriva a contatto con una certa situazione, con idee già preconfezionate e rigide. Poi, quando si tocca con mano la data situazione, ci si rende conto che non si può più dire e pensare esattamente quello che si sarebbe detto o pensato il giorno prima. Chiaramente è complicato fare, nell’arco di 24 ore, tutto il percorso necessario per avere una posizione completamente diversa da quella tenuta fino a un giorno prima. Del resto il programma comprende un seminario interattivo che permette ai partecipanti di elaborare e rielaborare le loro posizioni senza necessariamente arrivare a una conclusione. Al termine di questi seminari si arriva raramente alla soluzione, ma quello che ho notato è che, diversamente  dalle conferenze classiche, in tutti questi incontri i partecipanti sono più coinvolti, a loro rimane sempre qualcosa dell’esperienza fatta. Magari non arrivano a cambiare completamente idea su un dato argomento, però subentra sempre un minimo di dissonanza cognitiva che ritengo sia il vero valore aggiunto di questi incontri. Ciò è stato vero lungo tutto il percorso fatto finora, penso perciò che la formula adottata per questo percorso a tappe sia quella vincente.

OSME: E qual è il bilancio per ciò che riguarda il rapporto e la collaborazione con le autorità dei luoghi che avete visitato?

N.T.: Abbiamo avuto problemi solo in Ungheria, da questo punto di vista. In Turchia non si è trattato tanto di negoziare con le autorità del paese perché là l’obiettivo era capire a livello informale come le comunità locali stessero reagendo al fenomeno. Quindi, la tappa turca, è stata meno caratterizzata da una dimensione ufficiale, però devo dire che sia a Istanbul che ad Atene e soprattutto a Catania, siamo stati accolti da una sorta di abbraccio dalle comunità locali e il rapporto con le autorità e la società civile è stato soddisfacente. Budapest è, non a caso, l’unico posto nel quale non siamo riusciti ad organizzare il field trip e questo la dice lunga sul clima che si respira nel paese.

OSME: Quindi con la mancata visita al campo di Vámosszabadi è venuto meno un elemento di interesse per ciò che riguarda la tappa ungherese.

N.T.: Sì, però, ti ripeto, il fatto stesso che non siamo riusciti a ottenere l’autorizzazione ci dice qualcosa di interessante. Il fatto in sé ci racconta una storia che è esattamente quella che siamo venuti a discutere a Budapest, quindi tutto torna. Il giorno prima c’è stata una presentazione nel corso della quale, gli addetti al settore, ad esempio alcuni rappresentanti del Comitato Helsinki Ungherese, ci hanno spiegato le dinamiche che agiscono in questo ambito, il perché ci sia stato negato l’accesso al campo e il fatto che non è stata e non sarà l’ultima volta che le autorità negheranno l’autorizzazione a visitare strutture di questo genere. In questi casi succede spesso che, quando chi di dovere esamina la lista dei partecipanti e vede che ci sono dei giornalisti, le autorità decidono per il no. Stavolta, purtroppo, è successo a noi. Dico purtroppo perché è chiaro che avremmo voluto visitare il campo ma, paradossalmente, il modo in cui sono andate le cose racconta una storia. È stata un’esperienza.

OSME: La prossima tappa sarà a Berlino e si tratterà di quella conclusiva. In cosa sfoceranno gli incontri e i dibattiti a percorso concluso? Ci sarà una pubblicazione?

N.T.: Le pubblicazioni ci saranno, ci sono state, continueranno ad esserci. Però il vero valore di questo progetto è la conversazione, lo scambio di punti di vista. È un lavoro di riflessione che, ritengo, tutti coloro i quali hanno partecipato a questi incontri –  il giornalista, l’attivista, per esempio – continueranno a fare nel loro lavoro. Il dato essenziale è che lungo questo percorso c’è stata in qualche modo una comunione che ha messo insieme persone molto diverse tra di loro, però quello che a me interessa è che tutte queste persone continueranno individualmente a fare questo tipo di esercizio nel loro lavoro. Quindi penso più allo scambio che alle pubblicazioni e alle conferenze.
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Bianca Benvenuti. Foto per gentile concessione dello IAI

OSME: Come e per iniziativa di chi è nato il progetto di questo percorso a tappe?

Bianca Benvenuti: Il progetto GTE, ora alla sua quarta edizione, nasce nel 2012 su iniziativa dello IAI, in cooperazione con l’Istanbul Policy Centre e la Fondazione Mercator. Il progetto si propone di esplorare come, nello scenario interno ed internazionale, l’Unione europea e la Turchia possano migliorare la loro cooperazione. Quest’anno, considerando gli eventi che hanno interessato l’UE e la Turchia, ci siamo concentrati sulla tematica migratoria, affrontandola in modo “inconvenzionale”, organizzando cinque eventi in luoghi chiave della crisi migratoria.

OSME: Facciamo un bilancio del percorso fin qui realizzato focalizzando la nostra attenzione sugli aspetti organizzativi.

B.B.: Gli incontri sono stati tutti molto positivi e i partecipanti si sono sempre detti entusiasti dell’esperienza e delle informazioni così ottenute. In particolare, la composizione mista del gruppo di lavoro, che comprende accademici, ricercatori, giornalisti e membri di ONG e organizzazioni della società civile, ha facilitato lo scambio di esperienze e di vedute. L’organizzazione è stata impegnativa ma gli eventi si sono svolti senza particolari intoppi, fatta eccezione per l’evento di Budapest.

OSME: Ha posto dei problemi la ricerca di partecipanti ai field trip e ai workshop?

B.B: Non particolarmente, abbiamo ricevuto un riscontro positivo in termini di partecipazione.

OSME: La qualità e l’intensità del dibattito sono sempre stati soddisfacenti? Tra i partecipanti e i gruppi di lavoro c’è stata una sostanziale unanimità di vedute sul tema migranti o ci sono state voci discordanti?

B.B.: La qualità del dibattito è stata soddisfacente: buona parte del merito di questo va a Mia Forbes Pirie, moderatrice degli incontri. Il metodo da lei utilizzato mantiene il livello di partecipazione molto alto, permettendo a tutti di mettersi in gioco e condividere le proprie posizioni. La composizione mista del gruppo dei partecipanti, che provenivano da paesi e background professionali diversi, ha anche contribuito a creare un dialogo a più voci.

OSME: Qual è stata la tappa a tuo avviso meglio riuscita e perché?

B.B.: La tappa meglio riuscita e, direi anche quella più emotivamente stimolante, è stata quella di Catania. Le autorità locali sono state molto collaborative e disponibili ad incontrarci e rispondere a tutte le domande dei partecipanti.

OSME: Nell’organizzazione della tappa di Budapest ci sono state difficoltà con le autorità locali. Puoi ricostruire la vicenda del permesso dato e poi negato? C’è stata una risposta da parte vostra?

B.B.: Abbiamo mandato con largo anticipo la richiesta di autorizzazione alle autorità competenti per l’accesso alla zona di transito di Röszke e al campo di Vámosszabadi. Non ricevendo alcuna risposta, ci siamo messe in contatto telefonico con le suddette autorità, che tuttavia rimandavano la cosa di giorno in giorno senza darci una risposta precisa. Anche le ONG e le associazioni locali, contattate per chiedere un consulto, si sono dichiarate non sorprese dall’atteggiamento delle autorità. A due giorni dall’evento, abbiamo infine ricevuto l’autorizzazione per accedere a Vámosszabadi, mentre la visita alla zona di transito è stata rifiutata. Tuttavia, dopo aver mandato la lista del gruppo che avrebbe partecipato alla visita, l’autorizzazione è stata ritirata. La motivazione ufficiale è stata che i tempi erano troppo stretti per autorizzare le persone presenti nella lista. In seguito, non abbiamo avuto ulteriori contatti.
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