by Osservatorio Sociale MittelEuropeo | 10 Febbraio 2017 16:50
In apertura d’anno l’Ungheria di Viktor Orbán ha fatto di nuovo parlare di sé per la politica adottata in ambito migranti. A metà del mese scorso si è diffusa la notizia della decisione, da parte di Budapest, di ripristinare la custodia cautelare per gli immigrati che fanno richiesta di asilo. Tale pratica era stata sospesa nel 2013 a seguito delle pressioni esercitate dall’Unione europea e dall’ONU. Il governo ha deciso di rimettere in pratica questa disposizione pur sapendo che è contro le norme internazionali. Sempre a metà gennaio, in occasione del giuramento dei cadetti della guardia di confine, il primo ministro Orbán ha pronunciato un discorso nel quale afferma che l’emergenza migranti non è destinata ad attenuarsi nel breve periodo e che l’Ungheria non può affidarsi alle misure dell’Ue. In diverse passate occasioni il premier aveva avuto modo di definire inadeguata la politica dell’Ue a fronte della crisi migranti e sottolineato quella che aveva indicato come gestione fallimentare, da parte di Bruxelles, di questa emergenza epocale. Per Orbán e per i suoi collaboratori e sostenitori, i flussi migratori mettono in pericolo la sopravvivenza stessa dell’Europa e delle sue “radici cristiane”. A suo modo di vedere il fenomeno migratorio porta in sé la minaccia del terrorismo internazionale, per questo , sostiene Orbán, l’Ungheria deve difendere i suoi confini e quelli di Schengen, visto che l’Ue a suo avviso non lo fa. Secondo il premier i migranti non sono solo vittime dei trafficanti di esseri umani ma anche di Bruxelles che, a suo parere, con una politica sbagliata incoraggia il fenomeno migratorio e l’attività stessa dei trafficanti. Quindi, per il governo ungherese, il pericolo non viene solo dai trafficanti e dai migranti ma anche dal cosiddetto “partito dell’accoglienza” che prevale all’interno dell’Ue con una politica che le autorità di Budapest definiscono anche ingenua oltre che fallimentare.
Trump
La vittoria di Donald Trump era stata salutata con favore dal governo ungherese. In occasione dell’insediamento ufficiale del nuovo presidente USA, Orbán ha sottolineato l’importanza del momento che a suo modo di vedere rappresenta la riscossa dell’Occidente e il prevalere della linea dura sul fronte migranti. Orbán ha apprezzato la dichiarazione di Trump nota come “America first”. Per il primo 3 ministro ungherese sono ormai chiari i segni della fine del multilateralismo e del sopranazionalismo. A suo avviso l’Europa deve rinunciare all’utopia del federalismo e tornare alle nazioni, a maggior ragione visto che, secondo il suo parere, il progetto di un’Europa sopranazionale ha fallito da tempo. L’appello di Orbán è quindi al ritorno al concetto di nazione e a un più fattivo rapporto di collaborazione, in ambito europeo, per la difesa comune.
Orbán e Putin
Il 2 febbraio scorso il presidente russo Vladimir Putin si è recato in visita a Budapest per un incontro con il primo ministro Orbán. Si è trattato del quarto incontro bilaterale in quattro anni. Un’occasione di particolare importanza, per la diplomazia ungherese, che vede la possibilità di portare avanti i suoi rapporti con Mosca senza più subire pressioni americane perché ciò non avvenga (da considerare che tali pressioni sono state esercitate anche dall’Ue). Ora con Trump – fanno notare i governanti ungheresi – queste pressioni non ci saranno più, almeno da parte americana. Budapest considera, inoltre, il primo colloquio telefonico avvenuto fra Trump e Putin, come l’inizio di una nuova era, così tanto auspicato da Orbán e dai suoi. In primo piano, durante l’incontro, il tema dell’energia e della cooperazione nucleare fra Mosca e Budapest, legate da un accordo siglato in questo settore all’inizio del 2014. Sia l’investimento in ambito nucleare che il progressivo avvicinamento dell’Ungheria alla Russia di Putin, preoccupano l’opposizione interna di centro-sinistra che non vede di buon occhio la progressiva dipendenza del paese dalla Russia in campo energetico e critica da tempo quella che definisce deriva antidemocratica dovuta all’attuale governo.
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