Il debito è insostenibile. Di nuovo l’ipotesi Grexit

Il debito è insostenibile. Di nuovo l’ipotesi Grexit

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«Il debito pubblico greco è altamente insostenibile». A scriverlo, ancora una volta, è il Fondo monetario internazionale che, in un rapporto discusso a Washington dai direttori operativi del board, parla chiaramente della necessità di un taglio «sostanziale» del debito. Questo, a causa dei dati relativi all’avanzo primario della Grecia che, nonostante il buon risultato registrato nel 2016, secondo alcuni direttori esecutivi del Fondo dovrebbe attestarsi per molti anni almeno al 3,5%, per fare in modo che il debito possa essere gestibile.

Se da una parte il rapporto evidenzia gli sforzi fatti da Atene negli ultimi anni, sottolineando che «i conti pubblici non necessitano di nuovi interventi», dall’altra l’Fmi chiede l’ennesimo taglio delle pensioni, un innalzamento della soglia della no-tax area, la riduzione delle sofferenze bancarie e – neanche a dirlo- una forte liberalizzazione del mercato del lavoro.

Secondo il Fondo, il 50% dei lavoratori dipendenti e dei pensionati beneficia della no-tax area, mentre la percentuale negli altri paesi dell’Unione europea è ferma all’8%. Ovviamente, i greci che rientrano nella no-tax area percepiscono redditi talmente bassi da essere esentati dal pagamento delle tasse, ma ai tecnici ciò non sembra degno di interesse.

Ancora una volta, quindi, Atene si trova stretta tra le richieste di Washington e l’intransigenza di Berlino, con il rischio che si prenda nuovamente in considerazione l’ipotesi Grexit. E questo non solo perché in America non c’è più Obama ma Trump, anche perché dopo le parole di Angela Merkel su un’Europa a due velocità – per quanto ambigue – la Grecia potrebbe essere il primo importante banco di prova per il futuro dell’Ue.

STRETTO poi tra la disintegrazione auspicata da Trump e le elezioni di settembre in Germania, il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker sarebbe pronto a prendere un’iniziativa per poter concludere subito la valutazione dei progressi compiuti dal governo Tsipras e definire solo in seguito, a settembre, le misure che verranno applicate dopo il 2018, sempre qualora fosse necessario. Una soluzione che vedrebbe favorevole il governo di Atene a patto che il paese entri al più presto nel Quantitative easing della Bce. Ipotesi che auspica anche il presidente della Bce, Mario Draghi: «Potremmo essere vicini ad un inserimento dei titoli di stato greci nel Qe se terminerà presto la valutazione dei progressi compiuti dalla Grecia. Potrebbe, tuttavia, volerci ancora del tempo».

Anche per questo, il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, starebbe lavorando ad un incontro a Bruxelles, da tenersi prima di sabato, tra tutti i creditori e il ministro delle Finanze ellenico Efklìdis Tsakalòtos, proprio per il completamento della seconda valutazione.

D’ALTRONDE i numeri parlano chiaro: l’Fmi calcola che se non si interviene in modo sostanziale, il debito pubblico ellenico, che nel 2020 dovrebbe arrivare al 170% del Pil per poi scendere al 164% nel 2022, nel 2060, esploderà al 275% del Prodotto interno lordo. Ma il dato più preoccupante sono le spese per gli interessi sul debito che saranno il 15% del Pil nel 2024, supereranno il 20% nel 2031 e raggiungeranno il 33% del Pil nel 2040.
LA PARTITA sembra essere sempre la stessa. Se non si taglia il debito l’Fmi – come prevede il suo statuto – dichiara di non voler più partecipare al programma di aiuti verso la Grecia e Berlino, da parte sua, dice di non intendere andare avanti senza la presenza del Fondo, ritenuta una garanzia. La soluzione si deve trovare al più presto, verosimilmente entro l’Eurogruppo del 20 febbraio.
Ovviamente, falchi permettendo.

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