by Enrico Mugnai, il manifesto | 19 Febbraio 2017 9:44
IMPERIA. Davanti al tribunale d’Imperia, sotto un sole primaverile, una cinquantina di persone, molti francesi, accompagnano Felix Croft verso l’entrata. «Solidarietà ai migranti, solidarietà a Felix» si legge su un cartello. Un altro riporta date e luoghi dove alcuni attivisti sono stati arrestati per lo stesso motivo. I suoi familiari entrano con lui. L’accusa che conduce il 27enne francese sul banco degli imputati è pesante, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con l’aggravante di aver trasportato 5 persone, una famiglia. La pena va dai 5 a 15 anni. Nelle tasche di Felix, hanno dichiarato in aula i due carabinieri che lo hanno arrestato, non sono stati trovati soldi.
POI TOCCA A FELIX. «Al campo della Croce Rossa mi hanno detto che c’erano molte famiglie in una condizione spaventosa. Quella era particolarmente isolata e stanca. Mi hanno raccontato che il villaggio in Darfur nel quale vivevano era stato distrutto, la loro casa data alle fiamme con tutta la famiglia dentro». Si sono salvati, ma il bimbo di 5 anni ha riportato ustioni diffuse su tutto un fianco. La figlia piccola ha solo 2 anni. «Avevano speso tutto per arrivare prima in Libia e poi in Italia, la madre era particolarmente fiaccata nel corpo e nello spirito». Altri testimoni hanno confermato che la donna era incita di circa 6 mesi.
DIETRO ALL’EDIFICIO color salmone dove si celebra il processo, s’intuiscono le Alpi Marittime che separano Italia e Francia, luoghi di affari per i passeur e di pericolosa speranza per i migranti. Felix cerca di sorridere ma il viso è teso. Due profondi respiri prima di entrare in aula. Si siede, manda un bacio alla sua compagna che lo guarda seduta tra il pubblico. Lorenzo Palmero, volontario della Caritas, sentito come testimone, conferma quanto difficili fossero le condizioni delle persone, e soprattutto per chi aveva figli, in quella tormentata estate a Ventimiglia. «Nelle chiese si ammassavano materassi per farci entrare il maggior numero di persone. Per loro né mediatori linguistici, né psicologi. La mensa era solo nella chiesa delle Gianchette e tante persone erano stanche e affamate. L’impegno di noi volontari era fondamentale». Sulle sponde del fiume crescono accampamenti spontanei, più di mille persone vivono il confine come qualcosa di opprimente e moltissimi attivisti compensano col lavoro quotidiano quello che ci si aspetta dagli Stati e dall’Europa. Ma per l’ordinanza del sindaco, responsabile sanitario, nessuno è ammesso a dispensare né acqua né cibo.
A VENTIMIGLIA ci sono più di mille migranti e i posti sono pochi. Viene attuata quindi una rotazione, ma quella famiglia non può andare in strada. «Mi avevano chiesto un passaggio ma avevo rifiutato, come faccio sempre. Dopo aver sentito la storia e visto in che condizioni psicologiche e materiali erano non ho potuto che volerli portare a casa mia. Volevo nutrirli, farli lavare e riposare per poi contattare qualche associazione che si occupa di migranti e farli sistemare, magari ricongiungere coi familiari che vivono in altri paesi».
IL PUBBLICO MINISTERO pone una domanda cruciale: «Sapeva che portandoli in Francia commetteva un reato?». Un lungo silenzio accompagna i pensieri di Felix prima di rispondere: «Oui». È un’affermazione che, nella sua sincerità, sembra quasi sovversiva. E difatti Felix vuole sovvertire la gerarchia delle priorità. Ha risposto così per una ragione legalitaria, anche se sembra paradossale. «Un giudice francese – dice alla fine dell’udienza – ha stabilito che legge e legittimità sono due cose diverse. Se si scontrano deve prevalere la legittimità, lo spirito che sta alla base e dà sostanza alla legge. Non sono un anarchico, credo che le leggi servono perché non tutti la pensiamo nello stesso modo. Però quando la solidarietà si scontra con le leggi deve prevalere l’umanità».
Felix è un tipo bizzarro, Figlio di padre americano e madre di origini italiane vive tra la Francia, dove lavora nell’edilizia 6 mesi l’anno, e l’America, impiegato come pescatore professionista. Le ultime vacanze le ha passate nei campi informali francesi e italiani per sbrogliare la matassa della non accoglienza in cui i migranti erano intrappolati.
FELIX RITIENE che le migrazioni siano un bene assoluto: «Abbiamo bisogno di queste persone, non solo culturalmente. Molti sono istruiti e tutti hanno una volontà incrollabile. Senza di loro le nostre società sarebbero statiche e morirebbero. Mescolandoci creiamo quel movimento che è essenziale, la vita vera è in continuo cambiamento e noi dobbiamo esserlo altrettanto».
Per arrivare in tribunale ha bisogno di una autorizzazione perché è stato diffidato dal recarsi in quella zona. Ora il confine è interdetto anche a lui. La Digos glielo ricorda all’uscita del bar per un normale controllo, dicono gli agenti. Altri dieci minuti e poi riparte per casa.
QUANDO IL 16 MARZO Felix tornerà in tribunale, il collegio presieduto dalla Dr.ssa Aschero, dopo le discussioni del Pm, Dr.ssa Pradella e degli avvocati difensori Laura Martinelli ed Ersilia Ferrante, emetterà la sentenza.
Poche settimane fa, il tribunale di Nizza che ha giudicato Cédric Herrou, il contadino francese accusato di aver aiutato decine di migranti ad attraversare la frontiera tra Italia e Francia, ha riconosciuto la sussistenza dello stato di necessità. Anche da noi esiste un articolo, il 12 comma 2 del Testo unico sull’immigrazione, che sancisce: «Non costituiscono reato le attività di soccorso e assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti di stranieri in condizioni di bisogno».
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