Serrata dei migranti contro Trump

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La Casa sbianca. Intanto il governo perde un altro pezzo: dopo Flynn si ritira Andrew Franklin Puzder, l’ad candidato al Lavoro

NEW YORK. Il governo Trump, dopo le dimissioni del consigliere per la sicurezza nazionale Michael T. Flynn, perde anche Andrew Franklin Puzder, amministratore delegato di una catena di fast food, la Cke restaurants, ritiratosi dalla candidatura a segretario al lavoro.

Puzder, famoso per non riconoscere i diritti dei lavoratori e odiare i sindacati, si è visto costretto a ritirarsi dal ruolo che secondo Trump avrebbe ricoperto egregiamente, in quanto molti senatori repubblicani non sarebbero stati disponibili a confermare la sua nomina.


LA SCELTA era stata criticata dai democratici per le posizioni di Puzder contro l’aumento del salario minimo, ma su di lui, dal punto di vista repubblicano, ha pesato l’accusa di non aver pagato interamente le tasse sui dipendenti della sua catena di fast food. Oltre a ciò la debolezza di Puzder risiedeva anche nell’assunzione di una colf immigrata clandestina e l’accusa di violenze domestiche. Politico ha sottolineato l’opposizione a Puzder, a tal punto che stavolta non sarebbe bastato, come per la miliardaria Betsy DeVoos, il ministro dell’Istruzione, il voto del vicepresidente Mike Pence. Un candidato impresentabile (al suo posto Trump ha scelto R. Alexander Acosta, l’unico ispanico del proprio governo), e un altro problema che va ad affiancarsi al macro scandalo su i rapporti tra Trump, il suo staff e la Russia di Putin.

PER DIFENDERSI da queste accuse Trump ha dichiarato su Twitter che le affermazioni d sui «legami russi» della sua squadra cercano solo di nascondere gli errori di Hillary Clinton. «Queste notizie senza senso sui legami russi sono solo un tentativo di nascondere i molti errori commessi nel corso della campagna elettorale persa di Hillary Clinton»; ha poi aggiunto che «il vero scandalo sono le soffiate illegali di materiale classificato, che l’intelligence regala come caramelle». Questa posizione di Trump è appoggiata da una parte del partito: due senatori repubblicani hanno chiesto un’investigazione su Cia e Fbi, per i loro leaks alla stampa.

Da parte loro i russi, tramite il ministero degli esteri hanno presentato la notizia come un’ulteriore prova che negli Stati uniti sono in corso dei giochi di potere interni e trattative. Anche Mosca ha sottolineato come queste informazioni non si basino sui fatti.

A ESSERE CRIMINALIZZATI, ora, sono i servizi segreti americani che affidano soffiate i giornalisti, gli odiati giornalisti, nemici giurati di Trump. Come spesso accade quando la politica interna è un ginepraio, l’attenzione ora cerca di spostarsi sugli esteri. Trump, che durante la conferenza stampa ha ribadito che la prossima settimana arriverà un nuovo decreto simile al «Muslim ban – ha dovuto gestire l’incontro con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu senza un vero consigliere per la Sicurezza nazionale e mentre il segretario di Stato Rex W. Tillerson, ex ad di ExxonMobil, che forse, vista l’aria che tira e visti anche i suoi rapporti amichevoli con Putin, ha mantenuto finora un profilo basso, non era presente, in quanto impegnato in Germania per un incontro di un gruppo di 20 ministri degli esteri.

«Siamo pronti a lavorare con la Russia nei casi in cui dovessero beneficiarne gli americani», ha affermato da Bonn dopo l’incontro con l’omologo, Sergei Lavrov, il primo contatto faccia a faccia tra i due paesi dall’insediamento di Trump alla Casa bianca. Tillerson ha poi avvertito la Russia di «rispettare gli accordi di Minsk» e ha dichiarato: «Ci aspettiamo che la Russia onori il suo impegno e lavori per ridurre le violenze in Ucraina».

IL SEGRETARIO ALLA DIFESA Jim Mattis, invece, era a Bruxelles, in una riunione della Nato, tanto invisa da Trump che meno di un mese fa l’aveva definita «obsoleta». Mattis ha detto che gli Stati uniti potrebbero «moderare il loro impegno» se i membri non aumenteranno le spese militari, ma ha confermato che l’alleanza militare è «un fondamentale pilastro» nell’assetto strategico americano.

Intanto negli Usa non sembra finire la serie infinita di proteste. Ieri si è volto il primo di una serie di scioperi degli immigrati, indetto a Washington Dc ma che si è esteso in tutti gli Usa. Un esperimento simile era stato fatto nel 2006 e gli Usa per un giorno erano stati messi in ginocchio. Il primo personaggio pubblico ad aderire è stato lo chef José Andrés che ha annunciato la serrata di cinque insegne del suo gruppo: «Siamo parte del sogno americano – ha dichiarato Andrés- ma ora siamo sotto attacco, specialmente i latinos».

I NUMERI DELLA PROTESTA, solo considerando il settore in questione, sono ingenti; l’adesione pare destinata a crescere sempre di più: saracinesche abbassate a Philadelphia, altrettante ad Austin moltissime a Washington Dc e New York, e anche chi resta aperto offre servizi ridotti visto il numero di dipendenti che ha scelto di non recarsi al lavoro.

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