by Luca Tancredi Barone, il manifesto | 7 Febbraio 2017 9:14
BARCELLONA. L’obiettivo del governo spagnolo era processare i responsabili politici dello pseudo-referendum indipendentista catalano del 2014. Il risultato visto ieri è stato invece che l’indipendentismo ha vinto l’ennesima battaglia d’immagine, facendo passare in secondo piano i gravi processi per corruzione del partito ancora al potere in Catalogna.
L’ex president Artur Mas assieme a due delle sue ministre dell’epoca ha risposto ieri per la prima volta davanti a un giudice per il reato di “disobbedienza” agli ordini del Tribunale Costituzionale (che aveva annullato sia il referendum, sia la legge catalana che lo autorizzava) e di abuso d’ufficio. Rischiano la condanna fino a 9 anni di interdizione dai pubblici uffici. Il giudizio si è aperto per volontà del governo di Madrid nonostante il parere negativo espresso a suo tempo dai pm del Tribunale di Giustizia catalano, e nonostante le dimissioni nel 2014 in polemica per questa decisione del procuratore generale dello Stato. Il 9 novembre 2014 votarono più di 2 milioni di catalani (sui circa 7 residenti), e per l’ 80% scelsero l’opzione del doppio Sì: la Catalogna deve essere uno stato, e deve essere indipendente.
Il governo catalano, capeggiato dal presidente in carica Carles Puigdemont, ieri ha accompagnato gli imputati in una marcia che ha riunito 40mila persone (secondo gli organizzatori) fino alle porte del tribunale in quella che si è inevitabilmente trasformata in un’ennesima prova di forza delle forze indipendentiste.
Date le circostanze, Mas e i suoi hanno avuto gioco facile nel denunciare che la “demofoba” Spagna trascina in tribunale un governo che voleva solo far votare i cittadini. D’altra parte, la posizione del governo di Madrid è che non c’è democrazia se non si rispettano le leggi e la Costituzione (che non prevede referendum di autodeterminazione).
Se da una parte Mas si è assunto in tribunale tutta la responsabilità politica della scelta di celebrare comunque una “consulta” dopo l’annullamento del referendum, dall’altra ha rivendicato che era suo dovere politico rispettare una risoluzione del parlamento catalano e quello che gli chiedevano i cittadini, anche se questo implicava la disobbedienza al Tribunale Costituzionale. In ogni caso, argomentava che la consulta venne gestita da 40mila volontari senza la responsabilità diretta del governo, che comunque, dice, non ricevette nessuna ingiunzione esplicita del massimo Tribunale spagnolo.
Grazie a Rajoy, comunque vada sarà comunque una vittoria per gli indipendentisti: in caso di condanna come in caso di assoluzione, c’è persecuzione da Madrid. Che darà ali all’attuale governo catalano, che si regge sull’accordo fra i suoi eterogenei soci per la celebrazione di un referendum, stavolta “definitivo”, dicono, entro settembre. Cosa che naturalmente Madrid non ha intenzione di permettere. Le cose non possono che peggiorare.
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