Zingonia Zingone: “La forza liberatoria della poesia in carcere”

by Anna Lombardo | 26 Gennaio 2017 10:41

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Le altre interviste della poetessa Anna Lombardo si possono leggere qui[1] e qui[2] e qui[3] (in spagnolo)

Partiamo da una piccola auto-presentazione.

Sono poeta, scrittrice e traduttrice. La mia lingua poetica prevalente è lo spagnolo, ma scrivo anche in italiano, francese ed inglese. Sono cresciuta tra Italia e Costa Rica e mi sono laureata in Economia e Commercio presso l’Università La Sapienza a Roma. Ho pubblicato quattro raccolte poetiche: Máscara del delirio (Ediciones Perro Azul, 2005), Cosmo-Agonía (Ediciones Perro Azul, 2007), Equilibrista del olvido (Raffaelli Editore, 2011; Editorial Germinal, 2012), e Los naufragios del desierto (Vaso Roto Ediciones, 2013). I miei libri sono tradotti in italiano, francese, inglese, kannada e marathi, e pubblicati in Italia, Spagna, Messico, Costa Rica, Francia e India. Ho un poema scritto in francese, Petit cahier dugrand mirage,che è stato pubblicato in un libro d’artista illustrato da Robert Lobet (Éditions de la Margeride, 2016). Le mie poesie appaiono in numerose riviste letterarie e sono tradotte in svariate lingue. Sono curatrice e traduttrice di varie raccolte poetiche, tra cui il libro Voci della nicaraguense Claribel Alegría (Samuele Editore, 2015), che si è aggiudicato il Premio Internazionale Camaiore 2016. Curo la rubrica di poesia internazionale “Il grido e il sussurro” per la rivista digitale MINERVA.

Quando inizia il tuo incontro con la poesia? E quando inizi a scrivere?

A dodici anni ho iniziato a scrivere dei piccoli brani di prosa poetica che definivo in inglese “bursts of emotion”. Non sapevo che contenessero il seme della poesia. Frequentavo la scuola internazionale in lingua inglese. Mio padre era mancato da due anni e attraverso questa forma di scrittura spontanea, sentivo che stavo dialogando con lui.Mi sfogavo e mi ponevo delle domande esistenziali.Le risposte mi si materializzavano tra le dita con la forza enigmatica della metafora e dell’immagine simbolica. Avveniva tutto a livello intuitivo e in inglese.

In quello stesso periodo, il professore di letteratura aveva introdotto una nuova modalità: iniziare ogni lezione facendoci scrivere ininterrottamente per 10 minuti tutto quello che ci passava per la testa. Questo esercizio ripetuto ogni giorno ha aperto il rubinetto dell’inconscio e quei frammenti sono diventati racconti di genere “stream of consciousness” (flusso di coscienza)e poi, negli anni successivo, hanno assunto una struttura sempre più poetica. Ma io ho capito che si trattasse di poesia solamente a 16 anni quando il poeta americano Gregory Corso ha visitato la mia scuola e scriveva sulla lavagna come un forsennato una serie di parole sconnesse… i miei compagni dicevano “è matto!” ma per me tutto aveva senso. Un senso profondo. In quel periodo leggevo con passione Baudelaire, Verlaine, Neruda,la Dickinson e la Woolf. La letteratura italiana mi sembrava fredda e non mi comunicava molto. Apprezzavo l’acutezza di Calvino e la simpatica ironia di Pirandello, ma non riuscivo a entrare in rapporto né con Leopardi né con Ungaretti. Era troppo presto. Tuttavia, pubblicavo dei piccoli racconti in italiano nella rivista della scuola.

Che cosa ispira la tua scrittura? Una immagine, un sentimento, una sensazione, un fatto… in altre parole come nasce e come si sviluppa il processo di creazione per te.

Qualsiasi cosa mi può ispirare poesia, dal sentimento più forte al dettaglio più insignificante. Direi che la considerazione più significativa per quanto riguarda l’ispirazione è chela poesia arriva quando vuole lei e si manifesta come “un’urgenza di essere scritta”. A volte nel dormiveglia appare un verso e mi rimbomba dentro e insiste e mi butta giù dal letto; altre volte, qualcosa mi colpisce durante il giorno e mi rimane in testa e mi tormenta fino a quando non prendo carta e penna e mi decido a tramutare l’intuizione in poesia. Lì inizia il processo creativo. Alcune volte sembra un dettato preciso che arriva già con il suo ritmo e la sua forma e non ammette modifiche. Altre volte invece, lo sviluppo della poesia richiede una ricerca, è come se l’intuizione mi suggerisse dei riferimenti precisi che una vota scoperti, o riscoperti e studiati, costituiscono il pilastro del componimento. Spesso sono riferimenti mitologici o biblici che aleggiano nell’inconscio.Oppure reminiscenze di letture o ricordi di posti visitati o immaginati.

Mi capita spessissimo di rileggere una poesia e di capire solo in quel momento la portata di quello che ho scritto. È anche interessante sentire l’opinione di colleghi, critici e lettori che riescono a trovare nelle mie poesie delle cose che non sapevo di aver scritto… E così mi accorgo come l’occhio che si posa su un dettaglio (apparentemente insignificante), attraverso la poesia riesca a vedere l’aspetto trascendente che si cela in quel dettaglio. Proprio come disse Blake: “To see a World in a Grain of Sand” (“Vedere il mondo in un granello di sabbia”).

Le poesie meno riuscite sono quelle che “mi obbligo” a scrivere. Cioè quando decido che voglio affrontare un determinato tema. Lì scopro che funziona meglio il saggio… la poesia rifiuta le imposizioni. È lei che chiama. Ma bisogna essere aperti all’ascolto. Sono sempre più dell’idea che poeta è chi ascolta e osserva, e non chi vuole a tutti i costi “dire la sua”.

La poesia, come la scrittura, è in qualche modo un atto individuale, un’espressione intima che il poeta poi decide di condividere o meno con i lettori. Oltre al tuo impegno nell’organizzazione di eventi collettivi, che riuniscono poeti che condividono tra loro e con i lettori quello che scrivono, ultimamente  ti stai occupando  di scrittura poetica nelle carceri. Quanto importante è per te quindi  la partecipazione del poeta alla vita quotidiana? O detto altrimenti: che ruolo può avere la poesia nella denuncia, nell’impegno anche politico e sociale del quotidiano?

Direi che le parole “denuncia” e “impegno sociale” non costituiscono né il punto di partenza né l’obiettivo del “mio” laboratorio di poesia in carcere. Possono essere forse delle conseguenze, ma il punto cardine di questo laboratorio è la trasformazione individuale. Il pensiero sottostante è che il cambiamento della società non si può raggiungere se non attraverso il cambiamento individuale. Con pazienza e costanza.

Portando la poesia in carcere ho avuto conferma della sua forza liberatoria. Era una cosa che già pensavo e che avevo sperimentato in altro modo nei terreni fertili dell’infanzia (scuole e oratori), ma in carcere ho visto proprio l’aprirsi di nuovi orizzonti. Il laboratorio è improntato sulla poesia come strumento di introspezione. I risultati ottenuti mostrano come il processo creativo sia in grado di far rientrare l’uomo in se stesso, rivelare i suoi errori e illuminarlo con spiragli di libertà. Uno dei “piccoli miracoli” della poesia, come dicevo prima, è proprio quello di far stupire l’autore di avere scritto ciò che ha scritto. Questo stupore ha portato i detenuti a scoprirsi capaci di creare bellezza e a iniziare un processo di liberazione da schemi mentali e catene interiori.

La poesia si è rivelata uno strumento per approfondire la conoscenza dell’universo interiore, dell’immensa capacità che abbiamo dentro di noi di fare sia il bene che il male, di produrre sia bruttezza che bellezza. Imparare a condannare le proprie azioni sbagliate ma aprirsi alla possibilità salvifica che offre la poesia, di scoprirci anche capaci di pensieri buoni e parole luminose.

In questo senso, è nata in forma spontanea anche l’esigenza di “fare del bene”, di contribuire al benessere di chi sta fuori le mura, per costruire insieme un mondo migliore. L’iniziativa ha preso il nome di Free From Chains (liberi dalle catene), il cui cuore è formato dai testi generati dai detenuti che partecipano al laboratorio. Una delle iniziative intraprese è la pubblicazione delle poesie dei detenuti su magliette che vengono vendute fuori dal carcere, con l’obiettivo di sostenere una serie di progetti benefici.

Lo spirito di FreeFromChains è proprio quello di svincolarsi da un “concetto” di impegno sociale e denuncia, concentrandosi a “fare con il cuore” ciò che si può fare, mettendo a disposizione degli altri ciò che di buono riusciamo a “produrre”.

Personalmente, l’esperienza carceraria mi ha portato a conoscermi meglio. “L’altro” è necessario per l’auto-conoscenza. È lo specchio del bene e del male che vivono in noi. Dallo scambio, la riflessione, la maturazione, l’apertura. L’arricchimento.

Parliamo della tua esperienza nelle carceri. Come e perché l’hai intrapresa? Può solo offrire momenti di creatività o può costituire un prezioso processo di crescita individuale e collettiva che permette un cammino più consapevole e costruttivo nelle relazioni  future con la società? Ha cambiato qualcosa questa esperienza nella tua stessa esperienza scritturale?

Come ho detto prima, è nato un “ponte” tra “dentro e fuori” che permette un appoggio mutuo per la costruzione di un mondo migliore. Intendiamoci, è solo una piccola iniziativa nata in modo spontaneo. Ma come si espande il movimento della goccia che cade sulla superficie dell’acqua, forse una cosa piccola può raggiungere lidi lontani.

È presto per sapere se l’esperienza carceraria abbia modificato in qualche modo la mia espressione poetica o meno. La poesia matura con il tempo ed è specchio delle nostre profondità. Forse oggi il pozzo è un pochino più profondo… rispettiamo i tempi della poesia… inaspettatamente, lei si esprime. Stiamo a vedere.


Tu scrivi sia in spagnolo sia in italiano. La lingua che scegli ha qualche influenza sulla tua poetica: cioè in quale di queste due esprimi meglio ciò che vuoi comunicare?

Essendo cresciuta con tre lingue in simultanea e avendo conosciuto presto anche la quarta, scherzando dico spesso che soffro di una sorta di schizofrenia linguistica. In ogni lingua so di avere una personalità leggermente diversa. Penso che questo si debba al fatto che ogni lingua raccoglie in sé una cultura, un ritmo, una storia, una mentalità… comunque diciamo che la scelta della lingua nell’espressione poetica non è una scelta razionale. Ancora una volta, è lei che sceglie come si vuole esprimere. C’entrano sicuramente i suoni e i ritmi assorbiti nell’infanzia, le letture, l’amore. Comunque sia, io accolgo e sviluppo. Da oltre un decennio mi sceglie più spesso in spagnolo, ma mi ha visitato anche in francese.

La traduzione è un altro campo in cui ti impegni molto. Puoi parlarci di questa esperienza e cosa significa per te come poeta? Influisce sulla tua poesia?  Pensi che la traduzione sia un impegno che i poeti devono assumersi per dar voce soprattutto a quelli e quelle che non hanno voce in altri paesi (e a volte anche nei propri paesi)? Secondo te, solo un/una poeta può tradurre poesia? Come scegli ciò che traduci?

La traduzione permette il propagarsi di un’opera letteraria oltre le frontiere della lingua che l’ha originata. È uno strumento necessario che attraverso i secoli ci ha offerto la possibilità di viaggiare per mondi lontani e sconosciuti, scoprendo tra realtà e mondi fantastici, la vastità dell’essere umano e il suo ambiente naturale. Tuttavia, possiamo dire che la traduzione è un’approssimazione del testo originale e non una copia fedele. Questo si deve a ciò che dicevo prima, e cioè che ogni lingua ha le proprie sfumature culturali, un ritmo e una musicalità. Cioè, una parola non è solo una parola. In questo senso, la poesia è difficile da tradurre e richiede un lavoro di trasposizione delle immagini, dei suoni, dei ritmi e dei significati occulti. Molti dicono che non si può tradurre, ma senza una buona approssimazione, rimarremmo rinchiusi dentro al recinto letterario generato unicamente nella nostra lingua.

Come scelgo ciò che traduco? Diciamo che la sintonia con il testo poetico è il punto di partenza, anche se mi capita  anche di tradurre testi che sento meno vicini alle mie corde.

*****

Accanto al pozzo

 

due gabbiani ballano

in un angolo del cielo

tra le rocce

e il mare

 

il movimento ripetuto e sensuale

 

un tango sospeso

l’esistenza

 

*

calpesto l’erba del silenzio

cerco

una parola che riassuma

atomo e stella

 

sentirla in un fiore

che si apre piano

 

*

 

il fiocco di neve scende

e copre in silenzio

il verdore del prato

la nudità del granito

 

cambia

 

acqua che scende per sorgere

nel vapore del tempo

 

l’uomo

nel suo gaudio

afferrato al suolo si perde

 

solo

nell’inverno riprende vita

il fiocco che mai muore

 

 

*

 

come una calamita

il tuo sguardo polarizza

le mie viscere

 

le pietre

sono vita fossilizzata

 

per questo

nello stringere al petto

un disco di giada

sento farsi caldo

il respiro pausato

dell’immortalità

 

*

 

i fiori di Kyoto

non germogliano dal ciliegio

e non crescono

nella foresta dei bambù

 

là lontano dai templi

dietro un paravento

nella penombra

danzano le ombre

inclinano con garbo le fronde

e non è dal vento

la carezza che accende

i petali bianchi della sera

 

i fiori di Kyoto

sprigionano aroma di ciliegia

e increspando

rossissime labbra riempiono

di silenzio le vie

del piacere

 

Junto al pozo

 

dos gaviotas bailan

en una esquina del cielo

entre las rocas

y el mar

 

el movimiento repetido y sensual

 

un tango suspendido

la existencia

 

*

 

piso la hierba del silencio

buscando

una palabra que resuma

átomo y estrella

 

escucharla en una flor

abriéndose despacio

 

*

 

el copo de nieve desciende

y cobija en silencio

el verdor de la grama

la desnudez del granito

 

cambia

 

agua que baja para surgir

en el vapor del tiempo

 

el hombre

en su goce

aferrado al suelo se extravía

 

solo

en el invierno recobra vida

el copo que nunca muere

 

*

 

como una piedra imán

tu mirada polariza mis entrañas

 

las piedras

son vida fosilizada

 

por eso

al apretar contra mi pecho

un disco de jade

siento calentarse

la respiración pausada

de la inmortalidad

 

*

 

las flores de Kioto

no brotan del cerezo

tampoco crecen

en la floresta de bambú

 

allá lejos de los templos

detrás de un biombo

a media luz

danzan las sombras

inclinan con garbo las frondas

y no es del viento

la caricia que enciende 

los pétalos blancos de la tarde

 

las flores de Kioto

desprenden aroma de cereza

y frunciendo

rojísimos labios llenan

de silencio las calles

del placer

 

 

Non m’importa cosa dicano

 

Amami, ti dico amami

nel notturno abbraccio del silenzio,

amami e taci

come fa l’amore,

tu che sei quello,

anche quando taci.

 

Sfiorami, ti dico sfiorami

che dolce brusio sei

nell’aprir di petali e non

sfiorami di ali,

di miele sfiorami;

il palmo sfiorami,

nascere come il seme

che sfiorando posi.

 

Guardami, ti dico, guardami

spaurito guardami

che piano,

nuda

schiudo

anche l’anima.

 

Coprimi, ti dico coprimi

lentamente coprimi

e sudami,

di sale e ventre sudami

di smania e pace sudami

di torso, bronzo, penombra

sudami

coprimi, teso

coprimi.

 

Pensami, ti dico pensami

nel chiarore pensami

linea che sfugge e non,

che ieri ancora,

pensami, domani pensami.

 

No me importa lo que digan

 

Ámame, te digo ámame

en el nocturno abrazo del silencio,

ámame y calla

como hace el amor,

tú que eres eso,

aun cuando callas.

 

Rózame, te digo rózame

que dulce murmullo eres

en el abrir de pétalos y no,

rózame de alas,

de miel rózame;

el palmo rózame,

nacer como la semilla

que rozando posas.

                                                                                                      

Mírame, te digo mírame

espantado mírame

que suave,

desnuda

descubro

hasta el alma.

 

Cúbreme, te digo cúbreme

lentamente cúbreme

y súdame,

de sal y vientre súdame

de fiebre y paz súdame

de torso, bronce, penumbra

súdame

cúbreme, extiéndete

cúbreme.

 

Piénsame, te digo piénsame

en la claridad piénsame

línea que huye y no,

que ayer aún,

piénsame, mañana piénsame.

 

 

Dal chiostro del carcere si alza un urlo di sangue. In una cella con vista a oriente, curvo il corvo spiuma il suo passato. Lei arriva come il pane tiepido, un verso trattenuto nel becco della sua mente. Come San Pietro, il carceriere agita dei pezzi di metallo tra le dita. Nove passi separano dalla sua porta le inferriate del fuoco. Lei apre il libro. La chiave gira nella serratura. Nudo l’uomo abbraccia la sua solitudine. Rabbrividisce. Dal suo pugno scappa un verso: così colmo di amore / abbatto le gabbie dell’odio. Il carceriere sputa in terra. Il firmamento annuncia il canto del corvo.

 

Desde el claustro de la cárcel se levanta un alarido de sangre. En una celda con vista al oriente, encorvado, el cuervo despluma su pasado.  Ella llega como pan tibio, un verso atrapado en el pico de su mente. Como san Pedro, el carcelero agita trozos de metal entre los dedos. Nueve pasos separan de su puerta las rejas del fuego. Ella abre el libro. La llave gira en la cerradura. Desnudo el hombre abraza a su soledad. Se estremece. De su puño huye un verso: tan lleno de amor que reviento / las jaulas del odio. El carcelero escupe en el suelo. El firmamento pregona el canto del cuervo.

 

 

Radici

 

Non ho mai sentito l’esigenza

di scavare le mie radici

seme

nella terra/mondo

che originò il mio sangue.

 

Cosa importa se non è stato Adamo

se sono solo

una cellula di una cellula del mare?

 

Cosa importa se in un’altra vita

siamo stati fratelli o amanti

sconosciuti

gente nata

dallo stesso battito del tempo?

 

La terra umida

è segnale di appartenenza

l’aria

il silenzio

lampeggiante   inesauribile

che si rinnova ed è respiro

dell’anima.

 

Mi domandano chi sono.

Alzo le spalle.

 

La tradizione

è una cornice sul comodino

gabbia che rinchiude

il futuro

nome che definisce

il limite

 

si esaurisce

come una foglia secca

o segue il suo corso

dal letto del fiume.

 

Cos’e che l’uomo vuole afferrare

così tanto? Il granello di sabbia

riceve indifeso

l’ira del mare

la sua carezza

il suo lunatico andare e venire

senza frontiere.

 

Raíces

 

Nunca sentí la exigencia

de escarbar mis raíces

                                   semilla

en la tierra/mundo

que originó mi sangre.

 

¿Qué importa si no fue Adán

si sólo soy

célula de una célula del mar?

 

¿Qué importa si en otra vida

fuimos hermanos o amantes

desconocidos

gente nacida del mismo

latir del tiempo?

 

El barro húmedo

es señal de pertenencia

el aire

        el silencio

parpadeante  inagotable

que se renueva y es respiro

del alma.

 

Me preguntan quién soy.

Me encojo de hombros.

 

La tradición es un marco

sobre una mesa de noche

jaula que encierra

el futuro

nombre que define

el límite

 

se agota

como hoja seca

o sigue su curso

desde el cauce del río.

 

¿Qué busca tanto atrapar

el hombre? El grano de arena

recibe indefenso

la ira del mar

su caricia

su lunático ir y venir

sin fronteras.

 

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Endnotes:
  1. qui: http://www.globalrights.info/2017/01/la-poesia-no-es-que-no-tenga-futuro-es-que-es-el-futuro/
  2. qui: http://www.globalrights.info/2017/01/my-poems-open-conversations-which-people-share-their-experiences-with/
  3. qui: http://www.globalrights.info/2017/01/75747/

Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2017/01/zingonia-zingone-la-forza-liberatoria-della-poesia-carcere/