Rifugiato somalo muore nel rogo di capannone occupato

by Riccardo Chiari, il manifesto | 13 Gennaio 2017 9:55

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FIRENZE “Ali Muse è morto per colpa dello Stato”, si legge sullo striscione che apre il corteo di un centinaio di migranti prima sotto la Prefettura di Firenze e poi nel cortile di Palazzo Strozzi, dove i richiedenti asilo occupano pacificamente le scale che portano alla mostra sull’emergenza profughi del dissidente cinese Ai Weiwei. L’esposizione resta aperta, nessuno ha il coraggio di dire alcunché ai manifestanti, arrabbiati e addolorati al tempo stesso.

Tutti piangono Ali Muse, morto nell’incendio divampato poche ore prima nel capannone occupato dell’ex mobilificio Aiazzone, ai confini fra Firenze e Sesto Fiorentino. Alì aveva trentotto anni, era somalo e titolare di protezione internazionale in Italia. Viveva a Firenze dal 2008, per un breve periodo aveva trovato rifugio in un centro di accoglienza, poi sempre in edifici occupati, in assenza di possibilità alternative. Una volta scoppiato l’incendio era riuscito a mettersi in salvo. Ad ucciderlo è stata la decisione di rientrare per recuperare i documenti necessari ad ottenere il tanto agognato ricongiungimento con la moglie e i due figli, riparati in Kenia per fuggire dalla guerra civile.
L’incendio, causato probabilmente da un corto circuito in un allacciamento “volante” di energia elettrica, era divampato al secondo piano di un edificio dismesso da anni e occupato nel dicembre 2014 dal Movimento di lotta per la casa, per dare un tetto sulla testa a un centinaio di rifugiati senza fissa dimora provenienti soprattutto dalla Somalia. “Un fatto vergognoso – tira le somme Osman, portavoce della comunità somala – sono anni che queste persone sono abbandonate e vengono lasciate sole a soffrire”. Ancor di più negli ultimi giorni, con il termometro sceso abbondantemente sotto lo zero.
“Non è successo per sbaglio – racconta un manifestante davanti alle telecamere del Tg3 toscano – doveva succedere”. Già, perché da un anno mancava l’allacciamento regolare alla corrente, tagliata dall’azienda Acea come prologo di un primo tentativo di sgombero. Abortito, fra sassaiole e proteste, per il semplice motivo che non c’era alcuna soluzione alternativa per dare riparo ai rifugiati e ai richiedenti asilo.
L’associazione Medici per i diritti umani, che da quasi due anni presta assistenza sanitaria agli occupanti, informandoli sul diritto alla salute e sulle modalità di accesso ai servizi socio-sanitari territoriali, dopo il tentativo di sgombero aveva denunciato, anche pubblicamente, i gravi problemi strutturali e igienico-sanitari del capannone, evidenziando le pessime condizioni di vita degli abitanti. Ma nei fatti nulla si era mosso, e in media un centinaio di rifugiati continuava a sopravvivere all’interno della struttura.
Ora il Comune di Sesto Fiorentino ha allestito un accampamento in piazza Marconi, nel parcheggio di un altro mobilificio nei pressi dello stabile bruciato. Ma le tende sono poche, insufficienti ad ospitare tutte le persone rimaste in strada, né al momento sono stati predisposti servizi igienici adeguati alle necessità. Il capannone è stato messo sotto sequestro, e la procura ha aperto un’indagine per omicidio colposo. L’amministrazione comunale si sta impegnando per trovare un altro posto meno precario delle tende. Ma è una lotta contro il tempo, e le previsioni dicono che nei prossimi giorni arriveranno prima la pioggia e poi la neve.
L’Arci di Firenze prende posizione: “L’uomo che ha perso la vita cercando un rifugio e un riparo dal freddo era regolarmente residente in Italia, quindi avrebbe dovuto essere inserito all’interno di percorsi lavorativi e assistenziali tali da impedirgli di vivere in una situazione di illegalità. L’aspetto della gestione non solo della prima accoglienza ma del post-accoglienza è un punto essenziale da affrontare, se vogliamo evitare di piangere ancora vittime di simili tragedie da un lato, e ridurre le tensioni sociali dall’altro”.
Anche Rifondazione pone alcune domande che chiedono risposta: “Come è possibile che ottanta persone, quasi tutte ‘regolari’, si trovassero in una struttura del genere, abbandonate a se stesse? Consapevoli del fatto che la gestione dei migranti non è, data l’assurda legislazione nazionale, una questione facile per le amministrazioni comunali, invitiamo comunque il sindaco Falchi ad aprire un confronto il più ampio possibile, che coinvolga tutte le associazioni che si occupano del tema e che lavorano sul territorio”. Oggi dalle 8.30 in poi Enrico Rossi sarà ospite di Agorà, su Rai 3, proprio per parlare del rogo di Sesto Fiorentino e dei temi dell’immigrazione e dell’accoglienza. Mentre il sindaco sestese Falchi, in continuo contatto con Prefettura, Regione e Città Metropolitana, nella notte cercava ancora una soluzione meno provvisoria delle tende.

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