L’euro sta bene, ma quindici anni dopo l’Europa è in agonia
Quindici anni di euro non hanno causato solo l’aumento dei prezzi di beni e servizi: dal caffè al bar alle bollette di luce e gas, dalla benzina al cinema. I tre lustri passati hanno minato alle fondamenta dell’Unione europea che, agli occhi dei più, costituisce un potere ostile e minaccioso perché ha moltiplicato l’esercito di precari e senza-lavoro, ha penalizzato ancora di più lo Stato sociale e contribuito allo smantellamento dei diritti dei lavoratori, ha minato le Costituzioni democratiche nate nel dopoguerra.
PREVISTO NEL TRATTATO di Maastricht del 1992, insieme alle regole del deficit pari o inferiore al 3% del prodotto interno lordo e un rapporto debito/Pil inferiore al 60%, l’euro è stato introdotto come unità di conto virtuale nel 1999 ed è diventato denaro contante nel gennaio 2002 in dodici dei quindici Stati dell’allora Ue. Oggi sui 28 paesi membri (l’ultima la Croazia), nove utilizzano ancora una valuta nazionale diversa dall’euro.
OLTRE ALLA SCOMPARSA di artisti e cantanti celebri, il 2016 sarà ricordato soprattutto per la vittoria della «Brexit», il primo choc prodotto dalla volontà referendaria inglese di uscire dall’Ue, dove però ha sempre circolato la sterlina. Con le elezioni incombenti in Francia e in Germania – i paesi dell’asse politico continentale che non esiste più – il 2017 potrebbe portare a una serie di nuovi scossoni in un’Unione già piegata e impotente, nel caso in cui il Front National porti Marine Le Pen all’Eliseo. Nel caso in cui vinca il gaullista Fillon sono comunque annunciati tagli allo stato sociale pari a 100 miliardi di euro. Neoliberismo, austerità e chiusura delle frontiere si saldano in un amalgama di rigurgiti nazionalistici, securitari, razzisti.
LA SGANGHERATA costruzione di una moneta senza Stato, e di un’Unione gestita da tecnocrati e fondata su nazionalismi economici esasperati hanno contrapposto il Nord al Sud Europa, a discapito di quest’ultima. L’intento originario, nel secondo dopoguerra, era di unire il Vecchio continente in una ottica di pace e sviluppo comune, alla fine l’euro l’ha divisa. La moneta unica gode di ottima salute essendo ormai insieme al dollaro la principale valuta di scambio internazionale. È stata l’Europa a farne le spese: paesi più deboli sono riusciti, per ora, a rimanere nell’euro a prezzo di disoccupazione e deflazione salariale, crollo della domanda interna.
IN QUESTO CLIMA si terranno a marzo a Roma le celebrazioni del cinquantennale della firma dell’omonimo trattato che ha istituito la Comunità economica europea (Cee). Sono annunciate proteste.
*** Emiliano Brancaccio: «Nell’Unione europea arrestare i capitali, non i migranti». Intervista di Roberto Ciccarelli
*** Mario Pianta: «L’uscita dall’Eurozona non è una scorciatoia». Intervista di Rachele Gonnelli
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