Hotel Rigopiano. Bilancio finale, 29 morti e 11 sopravvissuti. Ora tocca alla procura
CHIETI. Il posto della sofferenza giace lì, adagiato sotto il Corno Grande del Gran Sasso d’Italia, dominato dai boschi di abeti verdi che svettano sulla neve.
L’altro ieri sera, poco prima di mezzanotte, sono state seppellite le ultime speranze. Sotto un marasma di macerie, di pietre, alberi e detriti, sotto il ghiaccio. I soccorritori hanno scavato senza sosta, a turno. Adesso se ne sono andati perché sotto i resti dell’Hotel Rigopiano, a Farindola, in provincia di Pescara, non c’è più nessuno. Nessuno da cercare, nessuno da tentare di salvare.
29 i morti, 11 i sopravvissuti, di cui 4 bimbi, alcuni di loro rimasti orfani. Queste le cifre ufficiali. Un finale temuto, ma atteso. E c’è voluto poco per trovare gli ultimi corpi: erano vicini, schiacciati dalla valanga di 120 mila tonnellate, che ha distrutto, spostato e sventrato, per sempre, l’albergo dei sogni. Rimane una montagna lacerata, silenziosa, di gelo e dolore. E, su di essa, il canalone della frana, la lunga via della morte, candida, silenziosa, che, dall’alto, si staglia sul paesaggio, per centinaia di metri.
La svolta è arrivata lunedì notte e da allora, in 48 ore, i vigili del fuoco hanno estratto 18 cadaveri. Erano incastrati, schiacciati, irriconoscibili, tra pilastri, pezzi di cemento e tronchi. Ed erano nello stesso punto: quel vano che, prima che sulla struttura si abbattesse la slavina, era il bar. I vigili del fuoco, in quella zona, c’erano arrivati due giorni prima. Erano entrati passando dalle cucine e lì avevano avuto un brutto sentore: alcuni degli ambienti erano rimasti miracolosamente intatti, ma erano deserti. «Speravamo di trovare qualcuno ancora vivo – ripetono – anche se sapevamo che i clienti stavano per lasciare il resort e dunque erano tutti raccolti da un’altra parte».
Quindi erano passati in un’ampia zona tra la sala del camino e l’area ricreativa, dove c’erano i piccoli che giocavano. Ma avevano trovato un inferno bianco, un groviglio di rovine. Qualcuno lo hanno recuperato nelle camere: c’erano quattro piani appiattiti uno sull’altro. Altri tra il bar e la hall. Dove tutti gli ospiti e i dipendenti della struttura, quel terribile 18 gennaio, erano radunati in attesa dello spazzaneve che avrebbe dovuto creare un varco per consentirgli di andarsene.
«Avevamo paura per le scosse di terremoto che dalla mattina ci facevano sussultare – hanno raccontato Giorgia Galassi e Vincenzo Forti, fidanzati di Giulianova (Teramo), sopravvissuti – e molti di noi avevano espresso il desiderio di ripartire. Ma non è stato possibile». Sono rimasti ostaggi, prigionieri di quelle mura. Perché la strada di accesso al complesso ricettivo erano ostruite dalla neve e la turbina richiesta, più volte, per liberarla, non si è mai vista. Al suo posto è giunta la slavina killer che ha spazzato, d’un botto, storie, progetti ed esistenze.
«Sono state operazioni complesse, tra le più complicate che abbiamo mai gestito: il crollo di uno stabile di 4 piani sotto una valanga in uno scenario di sisma, con l’impossibilità di arrivare sia via terra che con gli elicotteri, e con le comunicazioni difficili»: tira le somme il direttore centrale delle emergenze dei vigili del fuoco, Giuseppe Romano.
«Abbiamo lavorato 25, 26 ore di seguito – prosegue – scavando, spalando, creando buchi e cunicoli, facendo coraggio ai superstiti, facendogli vedere la luce. La loro individuazione è stata possibile con la realizzazione di mappe. Abbiamo trovato persone lì dove avevamo ipotizzato che fossero».
Per Maurizio Dellantonio, del Soccorso alpino, «si è trattato di un evento straordinario. E la risposta del sistema della Protezione civile è stata straordinaria: si è lavorato in sinergia, mettendo sul campo tutte le tecnologie a disposizione». Come ha detto anche Fabrizio Curcio, capo della Protezione civile, «sono state impiegate le migliori risorse del Paese».
Il riconoscimento delle salme non è ancora concluso, nel frattempo si stanno effettuando le autopsie. Delle vicende del Rigopiano, di quel 4 stelle situato uno scenario naturalistico da fiaba, ora continuerà ad occuparsi la Procura di Pescara che ha aperto un fascicolo per omicidio plurimo e disastro colposo. L’allerta Meteomont snobbata, l’allarme via mail lanciato dall’hotel e ignorato dalle istituzioni, la catena delle responsabilità per le strade bloccate: questi i punti dell’inchiesta penale. Che ieri ha anche acquisito l’esposto degli ambientalisti del Forum H2O, che ricostruisce la storia delle valanghe nella zona e denuncia le omissioni che hanno reso possibile la realizzazione di un resort in quel luogo.
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