by Roberto Ciccarelli, il manifesto | 11 Gennaio 2017 8:51
LA SCENA è stata apparecchiata da una richiesta di informativa giunta dopo la frase sui giovani che vanno a lavorare all’estero: «Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi» ha detto l’ex presidente di Legacoop. Una frase, definita ieri eufemisticamente «un inciso», che ha provocato l’indignazione collettiva. Poletti ha ribadito le sue «scuse» ai giovani da lui offesi e ha fatto capire che il Jobs Act non si tocca. Il premier Gentiloni ha già ribadito che nessuno mette in discussione l’incarico del ministro. Poletti resta a guardia della trincea del governo renziano senza Renzi. La riforma va difesa a ogni costo. Oggi ci sarà il pronunciamento della Corte Costituzionale sull’ammissibilità dei referendum Cgil. Se arriverà il via libera, si andrà alla battaglia nelle piazze in primavera, presumibilmente. Se la Consulta opterà per il «No», Poletti amministrerà il fallimento dell’esistente, in attesa delle elezioni politiche.
TRONCARE E SOPIRE, è la legge manzoniana della conservazione scelta dal governo. Quello che non funziona nell’attuale mercato del lavoro il ministro lo ha addebitato, per la prima volta dopo mesi, «alla riforma Fornero» che ha trattenuto gli over 50 al lavoro. Le prospettive di lavoro dei giovani sono state compromesse dalla crisi iniziata nel 2008. E non ha aiutato «la lontananza del nostro sistema di istruzione dal mondo del lavoro e dell’impresa».
ALL’ELENCO DEGLI ALIBI mancavano solo le cavallette e l’invocazione della sfortuna. Tutto per non condurre una seria analisi fattuale su ciò che realmente ha impedito alla «riforma» renziana di funzionare: ad esempio non legare gli incentivi pubblici alle imprese per gli sgravi sui neo-assunti (tra gli 11 e i 18 miliardi in tre anni) alla produzione di nuovi posti di lavoro. Gli incentivi, infatti, sono i principali responsabili del fallimento della politica dei bonus ai privati: una volta tagliati, le assunzioni sono crollate. Le aziende hanno incassato, e risparmiato sul costo del lavoro, senza produrre un significativo aumento generale dell’occupazione. Un classico esempio di assistenzialismo statale alle imprese e di produzione diseguaglianza tra i redditi da lavoro e quelli da capitale. Senza contare che il lavoro che esiste, dati Istat alla mano, riguarda nella stragrande maggioranza gli over 50. Per tutti gli altri aumenta la precarietà, la disoccupazione. Poletti ha anche denunciato, soprattutto sui social media, «una campagna di insulti e minacce che ha colpito me, mia moglie e mio figlio».
L’ALTRO FRONTE sul quale il ministro del lavoro ha cercato di parare i colpi, in particolare della minoranza del Partito Democratico che con Speranza è sul piede di guerra, è stato quello dei voucher. Ha ribadito l’impegno a rifare il maquillage ai «buoni lavoro», in crescita esponenziale e incontrollabile. Intende aspettare per lo meno febbraio, quando dovrebbe essere pronto l’ormai famoso «monitoraggio» sulla loro «tracciabilità». Sui voucher pende la minaccia – per il governo e la sua maggioranza – del quesito abrogativo della Cgil, oggi anch’esso all’esame della Consulta. Indipendentemente dall’esito della sua pronuncia, il governo ha fatto comunque trapelare gli interventi sui quali si discute da settimane. Sarebbe prevista la riduzione dei tempi di incasso del rimborso per i datori di lavoro da 1 anno a 6-3 mesi; la riduzione del tetto per i lavoratori da 7mila a 5mila euro all’anno e la riduzione dei settori di applicazione o, in alternativa, un intervento che escluda i lavoratori contrattualizzati dalla possibilità di usufruire dei buoni per il lavoro accessorio.
ALLA MINORANZA Pd di Speranza toccherà valutare quanto queste modifiche saranno efficaci per cambiare orientamento di voto sulla sfiducia a Poletti chesarà calendarizzata in un annunciato incontro della capogruppo al Senato. Restando alle indiscrezioni nessuno di questi accorgimenti ridurrà, in maniera sostanziale, il boom dei voucher. Oltre all’abrogazione richiesta dalla Cgil, l’unico rimedio realistico potrebbe essere quello di tornare alla vecchia disciplina della legge Biagi che limita l’uso dei buoni ai settori del lavoro veramente occasionale, previsto da una proposta di Cesare Damiano (Pd), mentre oggi possono essere usati in tutti i settori del mercato del lavoro. In questa liberalizzazione selvaggia, il governo Gentiloni sembra intenzionato a negare ai datori di lavoro la possibilità di usare voucher con lavoratori già contrattualizzati. L’abuso consiste nel voucherizzare gli straordinari dei dipendenti stabili. La riduzione da 7mila a 5mila euro è irrilevante. Dai voucher non si guadagna più di 500 euro medi annui.
LA MOZIONE DI SFIDUCIA AL MINISTRO DEL LAVORO è partita dal capogruppo della Lega Gianmarco Centinaio la mozione di sfiducia al ministro del lavoro Poletti è sostenuta dai senatori di Sinistra Italiana, dei Cinque Stelle e alcuni del gruppo Misto. Sarà la prossima Conferenza dei capigruppo a decidere se calendarizzarla o meno. «Se la legge sui voucher non viene modificata e non viene intaccato un meccanismo che ha portato a una distorsione nell’uso, allora non c’è dubbio che, se c’è il referendum, allora io al referendum voto sì» sostiene Roberto Speranza, esponente della minoranza Pd. L’intervento ieri in aula al Senato del ministro del Lavoro Giuliano Poletti non ha convinto le opposizioni a ritirare la mozione di sfiducia. «Il capo cosparso di cenere» non basta a evitare lo «scivolone» di chi continua a difendere le politiche di questi ultimi anni, ha detto la capogruppo M5S Michela Montevecchi.«I voucher hanno impoverito il lavoro», sostiene Giorgio Airaudo (Sinistra Italiana).
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*** Poletti contro i giovani, cervello in fuga[1] (Roberto Ciccarelli)
Affermazioni choc, poi le scuse. Il ministro del lavoro: «Giovani all’estero?«Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi». «Il Jobs Act è stata una buona legge che ha fatto bene al Paese. Non la cambieremo». Il Jobs Act resta la trincea del governo Renzi senza Renzi.
*** 4 dicembre 2016: chi ha perso la guerra dei dati sul Jobs Act[2]
Un bilancio del governo Renzi. Hanno perso precari, disoccupati, lavoratori poveri. Nulla è stato fatto per cambiare la loro vita. Questo è il racconto di due anni di info-guerriglia sul Jobs Act.
*** Jobs Act, i miti della «post-verità» di Renzi svelati in quattro mosse[3]
Jobs Act. Dal «contratto a tutele crescenti» ai voucher «strumenti di lotta al lavoro nero»
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