Dieselgate. L’altra faccia delle industrie fossili
L’accusa dell’Epa (Agenzia di Protezione Ambientale) statunitense nei confronti della Fiat-Chrysler di aver usato un software per truccare le emissioni di due modelli diesel, come già contestato a suo tempo alla tedesca Volkswagen, estende le ombre anche alla casa italo-americana.
La Fca ha dichiarato di contestare i risultati delle analisi, e di voler collaborare con la nuova amministrazione Usa.
Semmai fosse confermata l’analisi dell’Epa, avremmo un ulteriore caso in cui una azienda automobilistica manipola il funzionamento delle sue vetture con il solo l’obiettivo di passare i test e, dunque, truffare il pubblico sull’effettivo inquinamento che produce.
Negli Usa, come è già emerso nel caso Volkswagen, i test sulle emissioni inquinanti – e in generale la normativa tutela della qualità dell’aria – sono più rigorosi che in Europa, dove peraltro abbiamo ancora livelli di inquinamento delle aree urbane preoccupanti in molti Paesi. E delle relative conseguenze sanitarie: come stima l’Eea (Agenzie Europea Ambiente) il numero dei casi di mortalità in eccesso legate all’inquinamento dell’aria è molto elevato con 467 mila casi nel 2013. In questa triste classifica, l’Italia figura al primo posto con oltre 90mila casi.
L’allarme per i costi sanitari dell’inquinamento dell’aria, e in particolare sulle polveri sottili, gli ossidi d’azoto e i picchi d’ozono, stanno portando diverse città a mettere al bando i veicoli diesel, proprio quelli alla base dello scandalo per l’appunto chiamato dieselgate.
Il motivo tecnico per cui il trucco è stato applicato da Volkswagen e forse da Fca ai veicoli diesel è che, dare maggiore brillantezza alle prestazioni e rimanere entro i limiti di emissione di inquinanti non è semplice. E, dunque, per mantenere competitivi questi veicoli qualcuno ha pensato bene di manometterne il funzionamento con un software per passare i test.
Questa seconda vicenda accade alla vigilia dell’insediamento della nuova amministrazione statunitense, eletta da una minoranza di cittadini americani. Il nuovo segretario di stato nominato dal Presidente eletto Trump, Rex Tillerson, com’è noto è l’ex amministratore delegato di Exxon (Esso in Italia) e proprio gli interessi petroliferi sono quelli usciti vincenti dalla competizione elettorale. Come commenta anche il sito del think tank statunitense «Center for American Progress», è proprio la Exxon la maggiore beneficiaria in prospettiva dell’elezione di Trump.
Per protestare contro questo orientamento anti-clima, gli attivisti di Greenpeace ne hanno contestato la nomina (con lo striscione «Reject ReXX») due giorni fa alla Commissione del Senato Usa.
Qui siamo dunque a uno snodo critico: siccome le politiche climatiche richiedono un abbandono relativamente veloce delle fonti fossili e, per il settore dell’auto, uno sviluppo accelerato della mobilità elettrica, questo dovrebbe significare la progressiva messa al bando dei veicoli a combustione interna. Ad esempio iniziando dai diesel, come già annunciato da quattro capitali come Parigi, Città del Messico, Madrid e Atene dal 2025. E avviando la discussione del bando delle immatricolazioni di nuove auto a combustione interna è già avviato in Germania, Olanda e Norvegia. E proibendo progressivamente nuove trivellazioni petrolifere, come con l’accordo tra Usa e Canada tra Obama-Trudeau.
È presumibile che la nuova amministrazione statunitense cercherà di difendere gli interessi fossili e petroliferi. Un sondaggio pubblicato qualche giorno da Kpmg fa rivela che per il 62% dei manager dell’industria dell’auto, il diesel è ritenuto «morto» a causa della sua inaccettabilità sociale. Spingere verso la sua estinzione e promuovere nuovi sistemi di trasporto abbandonando le fonti fossili e vincendo la resistenza di un’industria potente ma in declino che vuole prolungare il suo predominio.
Questo è il vero «conflitto di civiltà» che abbiamo di fronte per uscire dalla crisi climatica.
* direttore Greenpeace Italia
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