La Consulta sul referendum Cgil: per l’articolo 18 dovevate chiedere di più
Il referendum sull’articolo 18 era propositivo e per questo non poteva essere ammesso. Lo scrive nelle motivazioni la Corte costituzionale. Poco più di due settimane dopo aver comunicato la sua decisione sui quesiti promossi dalla Cgil – era l’11 gennaio – la Consulta ieri ha emesso e depositato la sentenza. Le sentenze, perché insieme al no al quesito sull’articolo 18 ci sono stati due giudizi di ammissibilità per i referendum sui voucher e sulla responsabilità negli appalti.
A scrivere le motivazioni sull’articolo 18 non è stata la giudice che originariamente era stata designata come relatrice, Silvana Sciarra, perché nel dibattito in camera di consiglio il suo orientamento favorevole all’ammissibilità era finito in minoranza. Così la sentenza è firmata dal vicepresidente della Corte Giorgio Lattanzi. La Cgil, e vedremo perché, ha contenuto la replica a un «non siamo convinti».
Nelle motivazioni si sostiene che l’allargamento a tutti i settori del limite di cinque lavoratori per applicare la tutela reale in caso di licenziamento illegittimo (e cioè la riassunzione nel posto di lavoro e non semplicemente una ricompensa monetaria) avrebbe introdotto «un assetto normativo sostanzialmente nuovo». In altre parole la Cgil avrebbe fatto meglio a chiedere «la integrale abolizione del limite occupazionale», così come aveva fatto un referendum promosso da Rifondazione nel 2003 che estendeva la tutela reale a tutti i lavoratori, e che era stato ammesso. Perché «laddove non intenda abrogare l’opzione di base ma articolarla in modo differente, il quesito assume un tratto propositivo che ne determina l’inammissibilità». Nel nostro ordinamento, infatti, il referendum è solo abrogativo. Non solo. Secondo la Corte il quesito sull’articolo 18 era inammissibile anche «per difetto di univocità e omogeneità». In pratica puntava a porre all’elettore due diverse domande: riportare l’articolo 18 al suo contenuto originario ed estenderlo anche ai lavoratori di aziende più piccole, con almeno 5 dipendenti.
Sempre ieri, la Consulta ha depositato le sentenze di ammissibilità degli altri due referendum. Di particolare interesse la decisione sui voucher, perché conferma che quello strumento ha finito col trascendere «i caratteri di occasionalità dell’esigenza lavorativa cui era originariamente chiamato ad assolvere». Il voucher, che gli elettori – governo permettendo – saranno chiamati a cancellare del tutto con un Sì, anche secondo la Corte «ha modificato la sua funzione di strumento destinato a corrispondere a esigenze marginali e residuali del mercato del lavoro». Tant’è vero che la Corte fa notare come la disciplina dei buoni lavoro sia prevista adesso sotto la rubrica «Lavoro accessorio», diversa dall’originaria «Prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti».
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