by Tommaso Di Francesco, il manifesto | 25 Gennaio 2017 10:42
365 giorni fa, alle 19,41, il ricercatore italiano Giulio Regeni veniva rapito al Cairo, barbaramente torturato per giorni e poi ucciso.
Intorno al suo omicidio il regime egiziano dell’ex generale Al Sisi ha costruito una fitta cortina di nebbie e depistaggi, volta a volta annunciando verità di comodo o falsità. Dal delitto passionale, alla criminalità comune presentata su un «piatto d’argento», il governo egiziano ha indicato falsi colpevoli per allontanare le responsabilità del suo braccio operativo, la polizia e i servizi segreti. Impegnati ora nell’ultimo depistaggio, quello sul corrotto Abdallah capo dei sindacati degli ambulanti, che da solo magari con l’aiuto di «mele marce» avrebbe ordito il crimine. Dei sindacati egiziani Giulio Regeni si occupava. Una questione sensibile, vista la dura repressione dell’opposizione – politica e delle ong dei diritti umani – finita quasi tutta in galera dopo il sanguinoso golpe dell’estate del 2013. Sfacciatamente il regime del Cairo ha insistito – mentre mostra a parole disponibilità verso gli inquirenti italiani – a dichiarare che di «fatto isolato» si sarebbe trattato. Al contrario, in questo lungo e triste anno è sempre più emerso – anche per il nostro contributo, nonostante tante incomprensioni che ci hanno riguardato – che il caso Regeni corrisponde ad una pratica diffusa e consuetudinaria: quella delle sparizioni forzate e violente.
Delle quali Al Sisi è protagonista da anni. Secondo i dati degli organismi egiziani dei diritti umani dall’estate 2015 all’estate 2016 la sparizioni forzate sono state ben 912. Non è un caso che i giovani egiziani considerino Giulio «uno di noi».
Su un argomento il manifesto ha voluto sempre rompere il silenzio: quello delle gravi responsabilità del governo italiano.
È stato infatti l’ex presidente del Consiglio Matteo Renzi il primo leader europeo a sdoganare il golpista Al Sisi prima con un suo viaggio d’affari al Cairo e poi con il ricevimento e l’abbraccio in Italia dove lo ha accreditato come l’«uomo nuovo del Medio Oriente». Così, dopo l’assassinio di Giulio Regeni, quanto ad iniziativa dell’Italia siamo nel limbo. L’ambasciatore è stato ritirato e resta sospeso l’invio del nuovo. È una situazione anormale, ma è meglio che resti così. E manca ancora quella definizione di «Egitto Paese non sicuro» da sempre chiesta dalla famiglia Regeni che oggi rinnova il suo dolore. Mentre gli affari petroliferi non si sono certo fermati. Anzi.
Questi i contenuti che oggi saranno riaffermati e gridati a Roma, a Fiumicello e in molte città italiane. E che noi proponiamo nell’inserto speciale di oggi.
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