Il muro di Erbil impone all’Iraq i nuovi confini
Oltre mille chilometri di barriera, una trincea e una montagna di terra a definire i nuovi confini del Kurdistan iracheno. Mentre analisti e storici dibattono sul rimescolamento delle frontiere che l’accordo Sykes-Picot impose un secolo fa al Medio Oriente, sul terreno c’è chi si muove.
Non solo lo Stato Islamico che si fece conoscere due anni fa con un video dedicato a quell’infausta intesa colonialista. Stavolta è il Kurdistan iracheno ad aver azionato ruspe e bulldozer: una barriera correrà da Sinjar, estremo ovest iracheno al confine con la Siria, fino a Khanaqin, distretto di Diyala, a est lungo la frontiera con l’Iran.
Così Erbil ufficializza quanto è in atto dal giugno 2014: mentre l’Isis prendeva Mosul, i peshmerga approfittavano dell’implosione dell’esercito governativo (all’epoca si parlò anche di un tacito accordo di non aggressione con gli islamsti, poi collassato) per ampliare il proprio territorio.
Oggi la regione autonoma del Kurdistan conta il 40% di terre in più di due anni fa. Una mossa unilaterale che ha fatto esplodere le tensioni, neppure troppo latenti, con Baghdad: i territori in questione sono contesi da decenni, a partire dalla ricca Kirkuk, oggetto di arabizzazione sotto Saddam e ora di kurdizzazione sotto Barzani.
Le autorità kurde minimizzano: la barriera serve a «proteggere l’area da Daesh, a impedire ai terroristi di infiltrarsi con le autobombe», dice il comandante peshmerga Muhammed. Allo stesso tempo, però, qualcuno precisa: «Questo confine è militare, non politico – dice una fonte governativa al Guardian – È l’estensione minima del Kurdistan, non faremo compromessi su quanto realizzato prima del 17 ottobre [inizio della controffensiva su Mosul]».
La barriera serve a questo: a imporre nuovi confini ad un futuro tavolo con Baghdad, costringendolo a negoziare su territori contesi e maggiore autonomia amministrativa.
Le mire kurde si muovono oggi intorno alle città cristiane di Bartella e Bashiqa (pochi km da Mosul, appena liberate dall’avanzata anti-Isis) e alla comunità yazidi di Sinjar. La stessa che fu abbandonata dai peshmerga nell’agosto 2014, lasciando all’Isis lo spazio per compiere un massacro e avviare un vero e proprio genocidio.
Ma Sinjar è strategica: tra Mosul e la Siria, permette di controllare un corridoio su cui punta da tempo la Turchia, stretto alleato del presidente Barzani. Con Erbil messa in difficoltà dal flusso abnorme di sfollati iracheni (2 milioni su una popolazione totale di 8) e dal taglio del budget deciso di Baghdad dopo la vendita in autonomia del greggio di Kirkuk, il Kurdistan iracheno ha fatto leva su uno storico alleato politico ed economico, Ankara.
In cambio la Turchia vuole una guerra senza quartiere al Pkk, a partire da Sinjar dove il Partito dei Lavoratori ha avuto un ruolo decisivo nella liberazione della comunità yazidi, stabilendo un collegamento diretto con la siriana Rojava.
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